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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

CARNE A TUTTI I COSTI !

CARNE A TUTTI I COSTI !

Pubblicato sul n. 274, marzo 2020, della Rivista Informatica “Storia in

Network” (www.storiain.net) con il titolo: “CARNE, DIGIUNO E ASTINENZA”)

Il precetto “non consumare carne di animale durante la Quaresima” veniva

spesso vissuto come una “penitenza” nel Medioevo. In effetti, la carne era

l’alimento più apprezzato e gli stessi monaci, considerati come “astinenti”,

hanno fatto a gara con l’immaginazione per aggirare le regole

 

Fino agli inizi del 16° secolo, ogni cristiano che viveva in Europa occidentale

era sottoposto all’obbligo di privarsi totalmente della carne e all’incirca di

ogni grasso animale durante una parte notevole dell’anno. Si trattava in

quei periodi di mangiare “di magro”. Dopo essere caduto a poco a poco in

desuetudine nel diritto canonico, a partire dal 19° secolo, questo divieto o se

vogliamo questa privazione si potrebbe, almeno superficialmente, assimilare a

molte pratiche dei giorni nostri: il vegetarianismo buddista, la cura periodica di

“detox” (disintossicazione) o il “flexitarismo” (dieta tipo semivegetarianismo),

che limita fra gli altri, il numero di giorni di uso della carne.

Recentemente, uno studio medico ha anche tentato – vanamente – di provare gli

effetti benefici sulla pressione sanguigna del “regime vegetariano temporaneo”,

sempre imposto dalla Chiesa ortodossa durante i giorni che precedono il Natale,

la Pasqua e l’Assunzione (1).

Nel 1563 l’incisore di Anversa, Pieter van der Heyden (1530 circa - 1572),

realizza due stampe, partendo dai disegni preparatori di uno dei più grandi

pittori del tempo Pieter Brueghel il Vecchio (1525-1569). Una rappresenta un

interno contadino riccamente guarnito di vettovaglie e di strumenti di cucina. In

mezzo a marmitte, prosciutti, salsicce, polli ed altre teste di maiale, un gruppo di

persone per lo meno paffutelle, uomini e donne, bambini e nutrici è alacremente

occupato a sbafare ed a bere.

Uno di questi personaggi scaccia violentemente un individuo molto magro e

vestito di stracci. La legenda che figura sotto l’immagine ci fornisce la chiave

interpretativa di questa scena: “Fuori da qui, seccaccio dall’orrendo aspetto / tu

non hai niente da fare qui poiché si tratta di Cucina Grassa” (Hors d’ici, maigredos

à hideuse mine / Tu n’as que faire ici car c’est Grasse-Cuisine).

La seconda stampa rappresenta logicamente la cucina magra. Tutto vi denota una

estrema povertà. In abiti rappezzati, alcune persone molto magre si disputano le

poche cibarie che uno di essi ha fatto cuocere in un unico piatto: una cipolla,

frutta, stoccafisso e frutti di mare.

Le due stampe non saprebbero meglio rappresentare la dualità esistente allora

fra questi due tipi di giorni, molto diversi dal punto di vista alimentare:i giorni

grassi in cui si era autorizzati a mangiare di tutto – ivi compresa la carne - ed i

giorni magri (più di un centinaio all’anno) durante i quali i fedeli dovevano privarsi

della carne e spesso anche di grassi animali. Questa forte dualità, che spezzava

l’anno e la settimana, generava una tensione, specie nell’ambito delle classi

popolari, dove la disponibilità di pesce fresco rimaneva alquanto limitata. Questa

tensione è stata messa in scena in opere letterarie e rappresentazioni teatrali

incentrati sulla lotta fra la Quaresima ed i giorni di “charnage” (nome utilizzato

nella lingua francese per indicare i periodo durante il quale la chiesa autorizzava

il consumo della carne animale). Esse accompagnavano il passaggio del Martedì

Grasso al mercoledì delle Ceneri, che segna l’inizio della Quaresima.

Nella più antica attestazione di questo motivo - un poema del 13° secolo - le armi

dell’uno e dell’altro protagonista erano formate da prodotti alimentari, che

venivano consumati durante i due periodi che essi simbolizzavano. In tal modo, il

periodo “grasso”, presenta un gruppo massiccio di prodotti di carne, selvaggina,

carne da macelleria, insaccati e soprattutto una impressionate lista di volatili

(papere, pavoni, capponi, pulcini, polli, piccioni, allodole, capinere, usignoli, cigni,

aironi, gru, … ) come anche grassi animali (lardo, ecc.), i prodotti caseari o le

uova. A questa truppa ricca e diversificata si oppone anche, in questo caso, la

povera brigata che circonda il personaggio di Quaresima.

Agli inizi era il digiuno

Il sistema alimentare che si basava sulla distinzione fra il grasso ed il magro non

era certamente nato nel 16° secolo. I primi elementi costitutivi risalgono alle

origini del Cristianesimo. Ma sarà proprio nel Medioevo che il sistema si

costruisce progressivamente. Su questa costruzione il diritto canonico medievale

offre degli scorci parziali, che non consentono di comprendere perché e come è

nato il “magro”. L’accezione particolare di questo termine sembra peraltro

tardiva: è nel racconto fatto nel 1468 da Olivier de la Marche (1425-1502),

circa le nozze di Carlo il Temerario di Borgogna (1433-1477) e Margherita di

York (1446-1503) che si incontra la prima attestazione in lingua francese.

Ancora più vecchio è il termine digiuno (ieiunium in latino) che designava nel

diritto canonico ogni forma di privazione alimentare, che andava dal fatto di

prendere un solo pasto per giorno, a quello di astenersi da una categoria di cibo,

in primis la carne. In ogni caso non si trattava di vietare: i primi cristiani hanno

rinunciato alle numerose proibizioni alimentari del giudaismo e la Chiesa latina ha

anche finito per abbandonare (contrariamente a quella greca) il divieto della

consumazione di sangue e di carni, dove quest’ultimo era rimasto.

Concepito nel suo senso più ampio, il digiuno doveva essere considerato come una

penitenza, fatto che spiegava che ogni fedele doveva praticarlo non solo durante

il lungo periodo, di almeno 40 giorni, che precede la Pasqua a partire dal

mercoledì delle Ceneri (quadragesima che ha poi dato Quaresima), ma anche le

vigilie della grandi feste (come Natale) o al minimo due giorni a settimana (più

spesso il venerdì ed il sabato).

Ma per quale motivo l’astinenza dalla carne poteva essere considerata una

penitenza ? Nel 13° secolo, un teologo di grande fama come San Tommaso

d’Aquino si è dedicato all’esame della questione: “Il digiuno è stato istituito dalla

Chiesa per reprimere la brama dei piaceri del toccare, che hanno per oggetto il

cibo e la voluttà”. Il teologo aggiunge poi: “L’astinenza deve dunque riferirsi agli

alimenti più dilettevoli e più eccitanti; questi sono la carne dei quadrupedi e degli

uccelli, come anche i prodotti del latte e le uova”.

In altre parole, la carne è allo stesso tempo deliziosa e pericolosa: essa può

portare direttamente alla lussuria (in virtù di un abbinamento fra la carne

animale ed il peccato della carne, vale a dire, sessuale) e costituisce allo stesso

tempo l’alimento più ricercato nel sistema dei valori del medioevo. Privarsene è

dunque, risparmiare l’occasione di peccare, rinunciando allo stesso tempo al più

grande dei piaceri.

Questo è il motivo per cui i monaci, che devono rimanere puri, vengono

sottomessi ad una sorta di magro perpetuo. La regola di San Benedetto (2) - di

gran lunga la più influente - non consente loro il consumo di carne che in caso di

malattia. Ma un altro passaggio della regola proscrive unicamente la “carne dei

quadrupedi”. Questa espressione ha aperto la via ad interpretazioni divergenti,

rivelando una chiara intenzione di aggirare il divieto della carne – in virtù di una

specie di incapacità culturale di farne a meno completamente.

La disputa sui volatili

Quella che gli storici del monachesimo chiamano la “disputa dei volatili” (3)

conosce un primo accesso durante l’epoca carolingia (8°-9° secolo). Interpretando

in senso stretto il divieto formulato nella regola benedettina, alcuni pensatori - e

non dei meno importanti, come Rabano Mauro (780-856), teologo del 9° secolo

che ha esercitato le cariche di Abate di Fulda e, quindi, di arcivescovo di

Magonza – stimano che gli uccelli siano stati creati da Dio lo steso giorno dei

pesci (vale a dire nel 5° giorno della Creazione), il loro consumo deve essere

permesso ai monaci in ogni tempo.

Il Concilio di Aquisgrana, nell’817, decide per una interpretazione moderata: il

consumo di volatili da parte dei monaci è accettato per quattro giorni dopo il

Natale e quattro dopo Pasqua, vale a dire dopo i rigorosi periodi di digiuno

dell’Avvento e della Quaresima. Il dibattito sembrava chiuso.

Eppure esso ritorna alla ribalta nel 12° secolo. Il fatto è che la posizione

proibizionista nei confronti dei volatili ha finito per avere la meglio nei costumi

se non nei fatti. Di colpo la discussione si sposta verso nuove questioni, che

mettono in evidenza una resistenza profonda degli amatori della carne.

Per esempio, nei riguardi della cacciagione d’acqua che molti cercano di

assimilare, nonostante tutto, ai pesci. Naturalisti, moralisti e teologi si

interrogano a fondo sulla natura di un’oca marittima, così come sull’origine dei

cirripedi (barnacle in inglese), un crostaceo artropodo che si credeva nato, per

generazione spontanea, dai boschi flottanti o dalle conchiglie e che erano molto

apprezzati da alcune popolazioni costiere. L’ecclesiastico gallese Giraud de Barri

(1146-1223, Giraldus Cambrensis) osservava in tale contesto che in Irlanda,

durante i periodi di digiuno, i religioso ne consumavano, sebbene “senza piacere”,

soggiunge il religioso (4).

Queste abitudini si sono trasmesse ai fedeli. Ancora nel 18° secolo, Nicolas

Andry de Boisregard (1658-1742) classificava l’orchetto marino (Melanitta

nigra), altro uccello marittimo, fra gli anfibi che si mangiano in tempo di

Quaresima, allo stesso modo delle rane, delle tartarughe e delle lumache. Ma

l’animale anfibio che simbolizzava per eccellenza la “carne” della Quaresima era il

castoro e più in particolare la sua coda in quanto si immerge nell’acqua e può

pertanto essere assimilata ad un pesce. Diversi papi orientali l’avevano

assolutamente vietata alle popolazioni germaniche convertite da san Bonifacio,

vescovo di Magonza (673-754). Ma i risultati sono stati mitigati: nel 13° secolo il

teologo Alberto Magno di Bollstadt (1206-1280) constatava che veniva ancora

consumata la coda di castoro e tre secoli più tardi il grande trattato culinario

tedesco di Marx Rumpolt ne forniva una ricetta dettagliata. La fedeltà al

consumo del castoro è stato uno degli “errori dei Latini”, che hanno suscitato e

persino l’orrore dei teologi greci - e per conseguenza - uno dei motivi duraturi di

scisma fra Oriente ed Occidente !

Altra sacca di resistenza dei “carnisti” della prima ora: il consumo di grasso

animale. Dall’11° secolo, il regolamento di Ulrich de Zell (1029-1093) consentiva

ai monaci cluniacensi di Hirsau di confezionare le fave con il lardo, a condizione di

aggiungere il lardo dopo la cottura. Un testo satirico del 12° secolo mette in

scena un abate goloso che si autorizza il grasso di prosciutto, a condizione che

questo venga fatto fondere preliminarmente: si trattava, in fin dei conti, di bere

il grasso fuso e non di mangiarlo ….

Nel 14° secolo, alcuni benedettini pretendevano persino che se si tritasse

finemente la carne, essa avrebbe perso le sua natura “carnosa”. Pierre Bohier

(morto nel 1389), prelato originario della Linguadoca, designa questo composto

tritato con il nome di mortarolium, giustamente uno dei piatti più desiderati nel

refettorio vicino di Maguelone, i cui statuti ci consentono di conoscere i menu.

Utilizzare la carne tritata come ripieno era un altro mezzo di far dimenticare la

sua vera natura. Viene quasi naturale accostare queste pratiche di uso medievale

della carne alle nostre abitudini moderne, azzardando persino l’ipotesi che i

monaci benedettini possano essere stati i primi ad inventare l’hamburgher

moderno.

Ma è proprio durante i due ultimi secoli del Medioevo, quelli in cui il consumo

della carne ha raggiunto livelli abbastanza elevati, che i fautori della carne a

tutti i costi in ambito monastico si sono fatti sentire di più. Ne sono

testimonianza le inchieste condotte nei conventi benedettini, che hanno

evidenziato che i monaci si succedevano a turno nell’infermeria generale al fine di

consumarvi carne a loro piacimento. Quelli che rimanevano fedeli al rigetto della

carne sono stati accusati d’eresia o di mancanza di carità, in quanto essi

lasciavano falsamente morire i loro fratelli che avrebbero avuto bisogno di carne.

Uno dei più grandi dottori del tempo Arnaud de Villeneuve (Arnaldo da

Villanova 1240-1312 circa) , inizia, verso il 1301-05, a difendere un ordine

famoso per il suo rigore e fedele alla quaresima pasquale: quello dei Certosini

(Chartreux). Egli affermava che prescrivere la carne non serve a nulla quando il

malato ha soprattutto bisogno di medicine; che la carne produce un eccesso di

calore che può essere nocivo alla guarigione; che la carne restaura in effetti i

muscoli, ma non la forza vitale per intero. Le Sacre Scritture non presentano la

carne come un alimento sano e necessario; e infine - argomento tratto

dall’esperienza - che i certosini vivono a lungo !

Quaresime golose

L’offensiva carnivora contro la Quaresima sembra essere rimasta marginale in

una società in cui i fedeli rispettavano globalmente le prescrizioni dell’astinenza.

Le raccolte di ricette culinarie erano spesso organizzate in due parti, una per i

giorni di “carne” e l’altra per i giorni di “pesce”. Siamo di fronte, in questo caso,

ad una doppia cucina, che procedeva per sostituzione: il “brouet o brodetto di

cannella al pesce”, descritto dalla editio princeps del Viander (intorno al 1486), di

Guillaume Tiret (1310-1395) detto Taillevent (tagliavento), si differenziava dallo

stesso piatto “alla carne”, per il fatto che, beninteso, la carne veniva rimpiazzata

dal pesce, anche perché si utilizza la purea di piselli al posto del brodo addensato

ai fegati di pollame.

In certi casi si parla di piatti “contraffatti”, un po’ alla maniera delle

preparazioni interamente vegetali dei monasteri buddisti, che imitano la forma,

la consistenza ed il colore della carne. Questo è il caso della Gioncata

d’amandola in Quadragesima del grande cuoco italiano Maestro Martino da

Como (alias Martino de Rubeis, 1430 – fine 1400) che, dettata intorno al 1460 e

come lo indica il suo nome, risponde alla impossibilità di utilizzare prodotti

caseari e latticini durante la quaresima, sostituendo loro con il latte di mandorla

– star delle nostre attuali tavole vegetariane.

Al di fuori di questo succedaneo di cibo a base di carne, i cuochi - ed in primo

luogo quelli che praticavano la loro arte presso la tavola personale dell’abate -

hanno sviluppato una raffinata e sottile cucina di astinenza. Essa sapeva

adattarsi alla diversità delle prescrizioni emanate dalla Chiesa. Una raccolta

culinaria inglese distingue, in tale contesto, a fianco di una Tart for Lenton (a

Quaresima), che prevedeva due pesci e frutta fresca o secca, una Tart on Ember

Day, altrimenti detta per i quattro tempi. Le restrizioni alimentari erano meno

rigorose in occasione di questo momento di penitenza che ritornava ad ogni

stagione. In tal modo laTart on Ember Day, comportava del “buon formaggio

grasso”, uova e burro, tutti prodotti che non erano permessi durante la

Quaresima.

Per questo tipo di esigenza viene pertanto organizzata quella che il professore

Florent Quellier ha definito un “magro gastronomico” (5), tale da suscitare la

riprovazione dei moralisti nella misura in cui esso rappresenta una ricerca del

piacere - precisamente proprio quello che l’astinenza voleva evitare.

Alle origini della Riforma

Jean Louis Flandrin (1931-2001), pioniere della storia dell’alimentazione, ritiene

che la riforma protestante aveva dovuto parzialmente il suo successo al fatto

che aveva soppresso la Quaresima. Nel 16° secolo, quando Lutero aveva

vivamente criticato l’ipocrita frugalità della Chiesa romana, nell’Impero, come

anche nella Svizzera, le infrazioni alla Quaresima si sono moltiplicate, di pari

passo con la progressione delle idee protestanti. Nella terra in cui si produceva e

si gustava il burro, si può all’improvviso mangiarne tutto l’anno ed abbandonare

così gli oli costosi o di cattiva qualità che si erano dovuti impiegare fino a quel

momento. Ma le esenzioni dalla Quaresima erano già numerose prima della

Riforma, come è attestato dagli archivi della penitenzieria apostolica, il papato,

che concedeva appena qualche dispensa “di digiuno” (in fatto di Quaresima),

verso la metà del 15° secolo ne concede già una ventina all’anno alla fine del

pontificato di papa Sisto 4° (1414-1484) e per le sole diocesi tedesche.

Il Ci nous dit, una raccolta di exempla morali di Gerard Blangez, degli anni 1310-

30, individua almeno sette categorie suscettibili di poter beneficiare

dell’esenzione della Quaresima: dopo i ragazzi (di meno di 20 anni) ed i vecchi

(più di 60 anni), passando per i poveri lavoratori che hanno moglie e figli senza

avere, nè terra, nè casa, né risorse per assicurare la loro sussistenza, i

medicanti, le donne incinte, i malati che hanno perduto l’appetito ed il sonno,

infine i matti, che non sono in grado di sapere quello che fanno. A conti fatti, le

esenzioni interessavano una parte notevole della popolazione.

Queste esenzioni, che rimanevano individuali, non erano evidentemente

sufficienti alle esigenze dei fedeli. Esistono ormai gruppi interi che le richiedono

direttamente al papa: le suppliche registrate dalla Penitenzieria pontificia

possono riguardare la sfera domestica di un potente, una parrocchia o una intera

signoria.

Alla vigilia della Riforma, la tipologia dei giorni di astinenza era diventata molto

complessa. I conti dei rifornimenti, redatti in abbondanza in Inghilterra,

costituiscono un buon indicatore di questo stato di cose: mentre quelli del 14°

secolo conoscevano appena tre tipi di giorni (grasso, di pesce e di uova), in un

conto del 1461 se ne contano almeno 5, poiché si sono aggiunti alcuni giorni che

propongono unicamente uova e latticini e soprattutto giorni misti, in cui si

consuma carne e pesce (a volte anche con l’aggiunta di latticini). Sebbene ancora

minoritari, questi tipi di giorni dal profilo alimentare meno stretti (rigorosi), si

ripartiscono su quasi tutta la settimana, poiché essi rappresentano il 20% del

lunedì, il 22% del mercoledì, il 10% del giovedì, il 35% del sabato ed anche il 6%

della domenica. (6) Non si è molto lontani dalle “alimentazioni particolari” che

evoca il sociologo Claude Fischer (1948- ) per la società contemporanea.

Di fronte ai Protestanti che giudicavano le esigenze cattoliche troppo rigorose in

materia di astinenza, la Contro-Riforma iniziata dalla Chiesa cattolica coincide

con un certo irrigidimento. L’austero San Carlo Borromeo (1538-1584),

arcivescovo di Milano dal 1564 al 1584, ricorda con fermezza i vincoli

dell’astinenza dalla carne e dal grasso, che cominciava a partire dal mercoledì

delle Ceneri. Se malati, infermi e vecchi potevano sempre essere esentati, essi

potevano mangiare carne solo nel segreto delle loro case, dovevano

approvvigionarsi presso i rari macellai autorizzati e contentarsi del vitello,

considerata come una carne molto sana. Il modello Borromeo ha, di fatto,

influenzato profondamente il cattolicesimo post tridentino.

Ma il rapporto fra queste norme e le pratiche reali aveva finito per allentarsi.

Inoltre, nel forte aumento di acquisti di carne all’Hotel-Dieu, il solo abilitato alla

vendita in tutta la città di Parigi, alcuni studiosi hanno tratto elementi di

valutazione per individuare un indizio di de-cristianizzazione (7) della

popolazione. Il rigore dei giorni magri suscita ben presto l’incomprensione dei

filosofi dell’Illuminismo, come, ad esempio, François Marie Arouet, detto

Voltaire (1694-1778) che si scaglia, nel suo Dizionario Filosofico, contro la

decapitazione, nel 1629 a Saint Claude nella regione del Giura, di un povero

gentiluomo, Claude Guillon, accusato di aver mangiato carne di vitello e di cavallo

durante la Quaresima.

Da allora il mondo e la cristianità sono profondamente cambiati. L’ultimo retaggio

delle prescrizioni in merito all’astinenza dalla carne è contenuto nel Catechismo

della Chiesa Cattolica del 1992. Il quinto e ultimo dei precetti fondamentali

recita infatti: «Osserverai il digiuno prescritto e parimenti l’astinenza»,

stabilendo l’obbligatorietà di osservare il digiuno ecclesiastico e l’astinenza dalle

carni nei giorni prescritti dalla Chiesa.

NOTE

(1) Sarri K., Codrington C., Kafatos A., “Does the periodic vegetarianism of

Greek Ortodox Christian benefit blood pressure ?”, Preventive Medicine n. 44,

2007;

(2) La regola di San Benedetto, redatta fra il 530 ed il 550 si è imposta come il

fondamento del monachesimo occidentale nel 9° secolo. Benedetto di Norcia vi

propone un modo di vita difficile, ma accessibile;

(3) Caby C., “Abstinence, jeûnes e pitances dans le monachisme medieval”, in

Pratiche e discorsi alimentari dall’Antichità al Rinascimento, 2008;

(4) van der Lugt M., “Animal legendaire et discours savant medieval: le barnacle

dans tous ses etats” (Animale leggendario e discorso erudito medievale; il

Barnacle in tutte le sue declinazioni), Micrologus, 2000;

(5) Quellier Florent, “Gourmandise. Histoire d’un peché capital” (Golosità. Storia

di un peccato capitale), Armand Colin, 2010; “Festins, ripailles et bonne chere du

Grand Siecle”, Belin Editore, 2015; “Gola, Storia di un peccato capitale”, Dedalo

Edizioni;

(6) Laurioux B. “Le maigre, cuisine de substitution ?” (il magro, cucina di

sostituzione ?) in “Sostituzione di alimenti ed alimenti di sostituzione nel

Mediterraneo”, di Collin Bouffler S., Sauner M.H., Stampa universitaria, Aix en

Provence, 2006;

(7) Abad R., “Un indice di decristianizzazione ?, L’evoluzione del consumo della

carne nella quaresima sotto l’Ancien Regime”, Rivista Storica, n. 123, 1999.

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