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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

CILE, 11 settembre 1973, anatomia di un colpo di stato

CILE, 11 settembre 1973, anatomia di un colpo di stato

Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffitionline.com),

del mese di settembre 2020, con il titolo “ANATOMIA DI UN COLPO DI

STATO”

http://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=1944

L’11 settembre 1973, un putsch pone fine brutalmente ai tre anni di governo

di unità popolare di Salvador Allende. Come mai il paese più democratico

dell’America latina è arrivato a quel punto ?

L‘11 settembre 1973, una giunta di governo delle forze armate cilene rovescia

il presidente Salvador Allende (1908-1973) I militari golpisti, ben lungi

dall’indire delle nuove elezioni dopo un periodo di riordino del paese,

governeranno de facto fino al 1980, proclamando il generale Augusto Pinochet

(1915-2006): “Capo supremo della nazione”. Sarà solamente nel 1980 che essi

proporranno di ratificare per referendum una nuova costituzione. Questa

istituisce una vera tutela delle forze armate sul divenire politico del paese e

concede al capo della giunta militare uno statuto di Presidente della Repubblica.

Pinochet viene in tal modo proclamato ufficialmente presidente, senza essere

stato mai eletto e rimarrà in tale carica fino al 1988.

Rottura e radicalismo estremo

Le prime caratteristiche di questo colpo di stato sono la sua brutalità e la sua

dimensione rifondatrice, Le immagini della violenza degli avvenimenti sono rimasti

incisi nella memoria collettiva: il rifiuto di Allende di abbandonare il potere e di

partire in esilio; il suo richiamo ai militari dell’obbedienza che devono al potere

civile; l’attacco dell’aviazione al palazzo presidenziale della Moneda, in pieno

centro di Santiago; il suicidio di Allende per non obbedire alle intimazioni dei

generali ribelli.

All’alba dell’11 settembre, i militari assumono il controllo di tutti i punti

strategici del territorio (centri di telecomunicazioni, edifici pubblici, zone

industriali, bidonville) al fine di spezzare qualsiasi possibile resistenza da parte

degli operai e degli abitanti. Essi arrestano, nel giro di pochi giorni, 45 mila

persone note per la loro appartenenza o le loro simpatie per la sinistra e

l’estrema sinistra.: ministri del governo rovesciato, responsabili politici e

sindacali ed anche i simpatizzanti delle molteplici organizzazioni della sinistra.

Tutti vengono immediatamente interrogati ed internati, con casi di torture, sia

all’interno di complessi militari (caserme o navi da guerra), sia in luoghi requisiti a

tal fine (stadi o persino navi mercantili).

Alla fine del 1973, secondo un rapporto dell’Organizzazione degli Stati

Americani, 1500 civili risultavano già eliminati dalle forze armate. Alcune decine

di essi sono morti negli scontri con i militari delle prime ore oppure sono stati

fucilati con giudizio sommario per essere stati catturati con le armi in pugno;

molti altri sono stati probabilmente eliminati dopo essere stati interrogati in

condizioni indubbiamente poco legittime. Alcuni di questi erano dei militari che si

erano opposti al golpe o sospettai di aver voluto rispettare l’ordine

costituzionale, come ad esempio il generale d’aviazione Alberto Bachelet (1). Per

quanto concerne gli alti responsabili politici del governo e dei partiti che

costituivano l’Unità Popolare di Allende (UP), essi sono stati internati nei carceri

militari e sottoposti a processo. Nel 1975, il paese conta ancora circa 8 mila

prigionieri politici, mentre 110 responsabili sindacali risulterebbero essere stati

eliminati dalle forze dell’ordine. La violenza ha continuato ad interessare la

società cilena per alcuni anni, fatto che provocherà l’esilio all’estero di numerosi

Cileni.

La sorpresa

Il comunicato emesso dalla Giunta nella prima giornata del colpo di stato fornisce

un senso alla brutalità impiegata, che è andata bel al di là di una semplice rimessa

in linea del sistema. Esso abbozza i contorni di un panorama politico in totale

rottura con l’ordine costituzionali fino a quel momento in vigore. La giunta

afferma che Allende si posto da solo in “una situazione di patente illegittimità” e

che egli “ha violato i diritti fondamentali, ha rotto “l’unità nazionale” e che “si è

posto ai margini della Costituzione”. Il presidente, diventato il pupazzo delle

“decisioni dei partiti e dei comitati”, ha messo in pericolo “la sicurezza interna ed

esterna del paese”. Altrettanti motivi per i dirigenti della giunta militare di

“assumere il dovere morale, imposto dalla patria. Di destituire il governo … ed

assumendo il potere per un periodo di tempo imposto dalle circostanze”. Una

decisione assunta “in accordo con i sentimenti della grande maggioranza

nazionale, elemento che rendeva giusti i loro atti davanti a Dio ed alla Storia ed

anche le loro determinazioni … assunte per pervenire a realizzare il bene comune

e l’interesse supremo della patria” (2).

Sebbene il paese si trovi in piena crisi sociale e politica, l’effetto sorpresa

realizzato dal golpe militare è stato notevole sia nel Cile, come anche all’estero.

L’esercito cileno - formato alla prussiana -, anche se molti lo considerano ancora

come la “riserva morale della nazione”, è sempre apparso, sin dalla sua vittoria

negli anni 1930, come una forza della nazione, fedele allo stato ed estraneo ad

interventi nel gioco politico. La sorpresa risulta totale anche riguardo alle

previsioni espresse dagli osservatori stranieri: Allende per molti aspetti

assomiglia ad una specie di Leon Blum (1872-1950)sud americano; il Partito

Comunista (PC) cileno con la sua teoria della rivoluzione per tappe successive

assomiglia al PC italiano; esistono, inoltre, delle possibilità di alleanze inedite fra

un centro democratico cristiano e la sinistra. In ogni caso, nulla lasciava

presagire una tale rottura in un paese considerato come uno dei più democratici

dell’America latina.

Membri dell’intellighentzia cilena, come i sociologi Manuel Antonio Garretton

(1943- ) (3) e Tomas Moulian (1939- ) hanno molto rapidamente diagnosticato

che il golpe è la risultante delle interazioni di quattro fenomeni: le tensioni

crescenti fra settori moderni e settori più arcaici tipici di una società

dipendente e disarticolata, nella morsa di un processo di trasformazione

accelerata; l’ambivalenza della cultura politica cilena di fronte ai principi

democratici; la crisi politica aperta dall’elezione di un presidente socialista; la

volontà di una gran parte delle elites economiche, appoggiate da una larga parte

della popolazione e forti del sostegno degli USA, di agire per un ritorno

all’ordine, anche per mezzo di un golpe militare.

1950-1970: una modernizzazione incompleta

Dagli anni 1950 agli anni 1970, il Cile è stato il teatro di una serie di cambiamenti

sociali ed economici ai quali i politici hanno avuto grandi difficoltà ad adattarsi. Il

primo è stato demografico. Popolato da circa 6 milioni di abitanti nel 1952, il

paese raggiunge i 10 milioni nel 1973. Le conseguenze sociali di questo

accrescimento sono accentuate da un significativo esodo rurale che trasforma

rapidamente il Cile in un paese maggioritariamente urbano. Santiago passa dai 1,4

milioni di abitanti del 1952 ai 2,8 milioni del 1970 ed a quella data la capitale

riunisce un terzo della popolazione del paese.

Il Cile affronta ugualmente un processo di crescita economica sostenuta,

marcata da alcune specificità. In primo luogo, un ruolo crescente dello stato

nell’appoggio alle attività industriali, specialmente quelle della costruzione delle

dighe destinate a produrre energia elettrica. In secondo luogo, una prosperità

fondata soprattutto sulla diversificazione delle esportazioni. Oltre al rame ed

altri minerali, il Cile esporta anche cellulosa (derivata dal legno), prodotti

derivati dalla pesca (farine e conserve di pesce) ed inizia ad esportare dei

prodotti elettronici, chimici e meccanici. Purtroppo, a causa di una carenza di

miglioramenti dei rendimenti agricoli, la crisi dell’agricoltura alimentare si

accentua con la crescita demografica. Il paese risulta progressivamente non in

grado di produrre gli alimenti necessari al mercato locale ed all’improvviso

l’economia cilena, sebbene prospera diventa dipendente dall’estero. Il volume

degli scambi con gli USA non smette di crescere. Questi diventano i primi

acquirenti di rame cileno, estratto dal sottosuolo da compagnie straniere (in

maggioranza americane), i primi fornitori di beni di importazione ed i primi

creditori del paese – le banche americane posseggono fino al 50% del debito

estero del paese in una situazione di inflazione cronica.

Dagli anni 1930, sotto la spinta del partito radicale (centro sinistra

orientativamente), i governi cileni hanno saputo integrare, più o meno bene, le

classi popolari urbane al sistema politico e sono riuscite a far beneficiare, in

condizioni indubbiamente di disuguaglianza, di miglioramenti salariali e di un

migliore accesso all’educazione ed ai servizi sanitari. Ma, a partire dagli anni

1960, questo processo è stato scosso, specialmente dal contesto della guerra

fredda. L’esempio della rivoluzione castrista a Cuba infiamma la sinistra e gli

appelli, dall’altro lato, di Kennedy a riformare strutture sociali ed economiche

“arcaiche”, considerate come il miglior terreno d’azione della “sovversione

comunista”, contribuiscono a radicalizzare le posizioni.

La prudente conciliazione di interessi, i cambiamenti graduali ed il senso della

ricerca di soluzioni negoziate fra i membri della classe politica, quasi tutta

proveniente dai ranghi della borghesia e che si considera, nonostante le

differenze, come appartenente allo stesso mondo, hanno fatto il loro tempo.

La presidenza del democratico cristiano Eduardo Frei (1964-1970), denominata

“Rivoluzione nella libertà” mette in evidenza un nuovo stato di spirito. Frei,

candidato della destra e della Democrazia Cristiana (DC), vince le elezioni del

1964 con il 26% dei voti. Il suo programma è chiaramente riformista e propugna

una riforma agraria (alla quale la chiesa cattolica richiama sin dal 1940 e che essa

stessa ha iniziato a mettere in pratica ridistribuendo alcune delle sue terre), un

miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, una “cilenizzazione”

del rame (lo stato diventando azionario stimolerà la produzione), una riforma dei

sistema educativo e la concessione del diritto di voto ai circa 10% di analfabeti,

ancora presenti nel paese. Frei pretende peraltro governare, trasformando il suo

partito, ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, in una organizzazione più ampia

che integri alcune correnti provenienti dalla destra conservatrice, ma anche

correnti della sinistra e movimenti popolari.

Il progetto di rendere l’agricoltura cilena più produttiva, creando una nuova

classe di piccoli proprietari modernizzatori viene immediatamente percepita

dall’oligarchia fondiaria come un primo passo verso il collettivismo statale. Per

contro, quelli non interessati dalla riforma sperano la sua radicalizzazione e

tendono l’orecchio alle proposte dei militanti di sinistra e di estrema sinistra. La

volontà di migliorare la sorte degli emarginati urbani conduce agli stessi risultati:

molti non rimangono soddisfatti dei gesti fatti in loro favore.

Alla fine dei conti, la “Rivoluzione nella libertà” fa prendere coscienza ai gruppi

meno favoriti della loro capacità di pesare sul gioco politico. Nel 1969, tocca

all’esercito di far valere le sue rivendicazioni. Per protestare con la scarsezza

della paga, un gruppo di ufficiali si ammutina senza successo, sotto la guida del

generale Roberto Viaux (1917-2006), conosciuto per le sue idee di estrema

destra. Da parte loro, i dipendenti del Ministero della Giustizia si mettono in

sciopero per reclamare un aumento di salario. Al contrario, l’oligarchia fondiaria,

i capi delle imprese, gli artigiani ed i membri delle classi medie si risentono per i

miglioramenti delle condizioni di vita delle classi popolari che, a loro giudizio,

minacciano l’equilibrio sociale.

Una parte della destra vede nelle riforme della DC non un insieme di opportuni

aggiustamenti, indispensabili per la modernizzazione del paese, ma solo una porta

aperta a dei cambiamenti di orientazione comunista. I capi del Partito Nazionale

sono i primi a lanciare la necessità di ”governi forti”. Dal lato opposto, per una

fetta non irrilevante del partito socialista, per militanti del Movimento della

sinistra rivoluzionaria (il MIR, un movimento guevarista di estrema sinistra) o per

altri provenienti dai margini della DC, tutti affascinati dall’esperienza cubana, é

già arrivato il momento per preparare la rivoluzione.

Una democrazia come “specchio per l’allodole”

La segmentazione della società cilena in tre sotto-culture politiche rivali, ogni

giorno sempre meno disposte a negoziare, deriva dai suoi rapporti largamente

ambigui circa le loro vere intenzioni nei riguardi dei processi democratici. E

tuttavia, a differenza di quasi tutti gli altri paesi latino-americani, il Cile ha

beneficiato sin dal 1925 di una Costituzione di ispirazione democratica e liberale

e, a partire dagli anni 1930, di una regolare successione di governi derivati da

libere elezioni e di un sistema partitico stabile.

Tuttavia, questa democrazia è servita più a regolare i conflitti sociopolitici che a

costruire un vero legame sociale fra individui considerati come uguali. In tal

modo, dal 1948 al 1958, il sistema politico cileno ha proscritto il Partito

comunista cileno ed ha imprigionato i suoi dirigenti. Sarà solamente negli anni

1960 che il suffragio diventa veramente universale, a seguito di due riforme

elettorali. La prima nel 1952, aveva reso l’iscrizione sulle liste elettorali ed il

voto obbligatorio, moltiplicando il numero degli elettori (4). La seconda, nel 1964,

sopprime la clausola che escludeva gli analfabeti dal corpo elettorale. Ma la

concezione oligarchica della vita politica nazionale rimane molto tenace.

Il funzionamento del potere non aiuto a risolvere la situazione. Esso lascia un

ruolo capitale ai partiti del centro in un gioco fatto di sottili negoziati fra reti di

notabili, che consiste nel mantenere il più possibile gli elettori a distanza. La sua

più perfetta rappresentazione è il suo modo di elezione presidenziale a scrutinio

a turno unico: se nessuno ottiene la maggioranza, a quel punto sono i senatori

decidono.

Questo modello oligarchico è egualmente legato ad una rappresentazione molto

gerarchica dell’ordine sociale: le aristocrazie fondiarie, industriali o

commercianti, come anche le classi medie, vivono in un mondo ermeticamente

separato dal proletariato urbano, emigranti rurali – raggruppati in maggioranza in

zone di abitazioni precarie, le Poblaciones -, minatori o piccoli contadini.

L’espressione che ha per lungo tempo designato queste classi popolari, “los rotos”

(gli straccioni), dice bene quale era il loro stato.

Parallelamente, per molti dei fautori della sinistra, dai comunisti ai socialisti,

passando per i guevaristi del MIR, la democrazia rimane percepita come il velo

degli interessi della borghesia da essere sostituita dalla rivoluzione. Il suo solo

valore è quello di permettere qualche miglioramento sociale ed una consolidazione

progressiva dei partiti e delle organizzazioni di massa che dovranno, a termine,

creare un nuovo tipo di stato sostenuto dalla classi popolari. In poche parole, il

Cile mantiene un rapporto molto “strumentale” con la democrazia.

Allende, un presidente senza maggioranza

L’Unità popolare (UP), creata nel 1969, costituisce una alleanza dei partiti della

sinistra sostenuta dai sindacati. Essa riunisce il PC cileno, il Partito socialista, il

Movimento d’azione popolare unitario (dissidenti di sinistra della DC), il Partito

Radicale e, infine, due piccoli partiti di centro sinistra (il Partito

Socialdemocratico e l’Azione Popolare indipendente). Sarà questa l’alleanza che

porterà Salvador Allende al potere nel 1970.

La maniera di scrutinio uninominale ad un solo turno non consente ad alcun

candidato di vincere: Allende ottiene il 36,3% dei voti, Jorge Alessandri

Rodriguez (1896-1986), il candidato della destra, il 34,9% e Rodomiro Tomic

(1914-1992), quello della DC, il 27,8%. Secondo la Costituzione, spetta a quel

punto ai Senatori designare il presidente. Dopo aver richiesto alla sinistra di

votare con loro un emendamento alla Costituzione nel quale i governi dovranno

rispettare il pluralismo politico, le libertà sindacali, di insegnamento, della

stampa e dell’indipendenza dell’università e delle forze armate, i senatori

democratico-cristiani si allineano con quelli della sinistra per eleggere Allende.

E’ in questo contesto che gli USA tentano di fomentare un golpe per impedire

l’entrata in funzione di Allende. Davanti al rifiuto dell’alto comando militare di

prestarsi a questa manovra, un piccolo gruppo di estrema destra tenta di

sequestrare il comandante in capo delle forze armate, il generale René

Schneider Chereaau (1913-1970). L’operazione fallisce (il generale viene ferito a

morte) e contribuisce a dare un surplus di legittimità all’elezione. Ma l’idea

rimane nell’aria: un golpe può avere l’approvazione degli USA.

Per i tre anni della durata del governo, Allende, il suo partigiani all’interno del

Partito Socialista ed i suoi alleati comunisti mostrano la più stretta

preoccupazione nel rispettare il quadro legale della democrazia formale. Le

elezioni intermedie si svolgono senza problemi maggiori ed il pluralismo sembra

essere rispettato. Alle elezioni municipali di aprile 1971, l’UP ottiene il 49,8% dei

suffragi. La progressione dell’alleanza governativa risulta notevole, ma non si è

prodotta l’ondata di marea sperata e la delusione è grande.

E poi, Allende ed i suoi alleati, sospinti da una supposta “maggioranza morale”,

danno molto meno attenzione allo “spirito di conciliazione” che aveva regnato nel

corso dei precedenti decenni. Se certe grandi riforme – come la

nazionalizzazione del rame – vengono votate all’unanimità o dopo duri negoziati

nel Parlamento, altre (5) – come gli aumenti salariali, la nazionalizzazione del

carbone, della siderurgia, di una parte del settore dei trasporti e delle banche –

vengono fatte grazie al sistema dei decreti presidenziali, istituiti negli anni 1930.

Allende col passare del tempo viene a trovarsi in una situazione sempre più

precaria, tanto più che, da parte loro, i parlamentari della destra ed una parte di

quelli della DC non si accontentano più di limitare l’azione del governo, ma

vogliono, in un certo modo, paralizzarlo. Essi ricorrono si alle astuzie del gioco

parlamentare sia ai tribunali davanti alle trovate della sinistra ed all’utilizzo

allegro del sistema dei decreti presidenziali.

Molto rapidamente, questi conflitti danno luogo a dimostrazioni di forza a favore

o contro la politica governativa. Nel sud del paese, i dibattiti sull’accelerazione

della riforma agraria si svolgono sullo sfondo della mobilitazione contadina

(appoggiata dal MIR) alla quale fanno scudo i proprietari espropriati sostenuti

dai movimenti di estrema destra Patria y Libertad.

Le difficoltà economiche non aiutano a migliorare la situazione. Il primo anno, la

politica dei consumi rilancia la crescita, ma ha delle conseguenze drammatiche a

partire dalla fine dell’anno 1971: l’inflazione; l’aumento dei prezzi; la penuria di

beni di consumo corrente come l’olio, la carne, lo zucchero, il sapone; sviluppo

parallelo di un mercato nero; deterioramento della bilancia dei pagamenti;

insolvibilità crescente del paese sui mercati internazionali. Questa situazione di

inflazione e di penuria non dipende solamente dai gravi errori di gestione dell’UP.

Essa deriva anche dagli effetti combinati della bassa valutazione del corso del

rame sui mercati internazionali, degli appelli al boicottaggio del Cile lanciati dagli

USA e della strategia di sabotaggio economico da parte di tutta una parte della

classe imprenditoriale cilena. Alcuni smettono di investire mentre altri speculano

sulla penuria di determinati beni di consumo.

La sinistra divisa

Lo sciopero dei camionisti dell’ottobre 1972 segna il punto di svolta della

strategia di ostruzione della destra. L’obiettivo del partito nazionale è quello di

provocare la caduta di Allende con tutti i mezzi legali disponibili. In effetti, in un

paese lungo circa 4.300 chilometri da nord a sud e largo solamente 180

chilometri di media, l’ostruzione della “strada” paralizza totalmente il paese ed il

Partito Nazionale si trova alleati alla sua politica anche le classi medie rese

sempre più inquiete dalla politica governativa. Nel giro di qualche settimana

anche i commercianti ed i medici entrano in sciopero. Per quanto riguarda i

trasportatori, radicalizzati dalle misure di requisizione lanciate dal governo,

giocano la carta del tanto peggio tanto meglio (lo sciopero dura tre settimane)

dal momento che possono beneficiare di un appoggio finanziario occulto da parte

di servizi “esteri”. Un po’ dappertutto si assiste ad un crescere della violenza.

Inizialmente le manifestazioni delle donne che brandiscono delle casseruole

vuote, quindi scontri per le vie di Santiago, attacchi alle abitazioni dei ministri da

parte dell’estrema destra o l’assassinio di sottufficiali dei carabinieri a

Conception. Le tensioni vengono esacerbate dalla visita di Fidel Castro, il cui

prolungamento, per iniziativa del cubano, viene vissuta come una provocazione da

parte della destra.

Nel novembre 1972, Allende costituisce un nuovo governo con dei ministri

provenienti dall’esercito, fra i quali i comandante in capo, il generale Carlos

Prats Gonzales (1915-1974), diventa Ministro degli Interni. Questo permette di

mettere fine allo sciopero che immobilizza il paese. Ma l’UP non cessa di perdere

terreno di fronte alla DC ed al Partito nazionale e mentre questi ultimi si

uniscono per dare un carattere plebiscitario alle elezioni legislative del marzo

1973, la sinistra vede affermarsi u crescendo di divisioni al suo interno.

La volontà di Allende e dei comunisti di giungere ad una accordo con la DC sulla

questione delle nazionalizzazioni viene contrastata da Carlos Altamirano Orrego

(1922-2019), segretario del PS, i militanti del Movimento d’Azione Popolare

Unitario (il MAPU, formato da cristiani radicali) e quelli del MIR. Un po’ ovunque,

militanti e simpatizzanti di estrema sinistra formano dei coordinamenti, “cordoni

comunali” o “cordoni industriali” al fine di spingere il governo non solo a resistere

alle pressioni della destra ma anche ad “avanzare senza transigere”.

Queste divisioni si mettono di traverso ai tentativi di conciliazione di Allende e

soprattutto minano la sua autorità agli occhi dei democratici cristiani e dei

militari. Anzi, esse accreditano l’idea, da entrambi i lati, che solo una soluzione di

forza consentirebbe di uscire da una situazione di crisi politica ed economica.

Golpe inevitabile ?

Il risultato delle elezioni legislative del marzo 1973 accentua ancora le tensioni.

La sinistra ottiene il 43,9% dei suffragi, ovvero 6 punti di meno di quello delle

municipali del 1971. Questo risultato non consente alla DC, sempre esitante, di

allearsi chiaramente alla destra e di ottenere la maggioranza dei due terzi

necessaria alla destituzione legale di Allende da parte del Congresso.

Da quel momento, la destra, che non aveva disarmato, lavora per avvicinare alle

sue idee golpiste la DC ed i settori popolari, ma anche le forze armate, quindi,

progressivamente, la maggioranza della società che aspira all’ordine.

Nell’aprile 1973, i minatori d’El Teniente, una delle più grandi miniere di rame nel

nord del paese, si lanciano in uno sciopero, per reclamare degli aumenti salariali,

che durerà 78 giorni. Essi vengono accolti come eroi dagli studenti di diritto

dell’Università cattolica di Santiago. Per la prima volta, la destra riesce ad avere

l’appoggio di settori operai contro l’UP ed il 29 giugno, il 2° reggimento blindato

di Santiago (il tancazo) si solleva, non seguito però dagli altri reggimenti della

capitale. Questo tentativo di golpe fallisce non solo perché il generale Prats

prende la direzione della controffensiva, ma perché, come lo ha scritto nelle sue

Memorie, “i cospiratori più importanti hanno preferito attendere un'altra

opportunità ! ”

Il golpe mancato mette però in evidenza l’incapacità della sinistra di far fronte

ad un colpo di forza senza l’aiuto delle forze armate. In effetti, l’esercito è

diventato un corpo deliberante: un numero sempre maggiore di ufficiali superiori

complottano apertamente, appoggiandosi a frange dei partiti della destra e della

stessa DC. Prats si preoccupa di evitare una crisi nell’ambito delle forze armate

ma viene accusato dai suoi pari grado di “portare le forza armate al compromesso

con il marxismo”. Il 23 agosto 1973, all’indomani di una manifestazione umiliante,

di mogli di ufficiali generali che l’insultano pubblicamente davanti al suo domicilio,

egli rimette il suo mandato ad Allende, che lo sostituisce con Augusto Pinochet. I

membri dell’esercito hanno buon gioco a schierarsi dalla parte dei cospiratori.

Dopo un ultimo fallimento di colloqui fra il Presidente e la DC, che richiede la

nomina di un nuovo governo, dove tutte i posti chiave dovranno essere affidati a

dei militari, i parlamentari dichiarano “l’illegalità del governo”.

L’11 settembre, mentre Allende si appresta ad indire un plebiscito per mettere

fine alla crisi che rende il paese ingovernabile, i golpisti, che qualche giorno prima

hanno avuto l’adesione di Pinochet al loro progetto, decidono di prendere il

potere. I politici della DC e della destra, che avevano pensato che i militari, dopo

un breve periodo di riordino, si sarebbero ritirati dalla scena politica e li

avrebbero incaricati di indire nuove elezioni, dovranno attendere il 1989 per

poter ritrovare un vero ruolo politico attivo.

Quaranta anni dopo la sua tragica fine, l’esperienza di Allende invita a ripensare

con una nuova prospettiva le utopie politiche della sinistra latino americana

dell’epoca. Come prendere sul serio la volontà espressa di “costruire il

socialismo”, affermando nel contempo la volontà, desiderata da Allende, di

“difendere la democrazia, il pluralismo e la libertà” ?

Come coniugare le idee per niente incompatibili di libertà e di uguaglianza ?

Allende ed i suoi assistenti hanno avuto questo progetto, basandosi ciecamente

sulla forza della loro presunta “maggioranza morale” e sulle logiche burocratiche.

I massimalisti del PS, del MAPU e del MIR, però, non hanno praticamente mai

avuto queste idee, a meno di interessi tattici a brevissimo termine ed hanno

sempre puntato alla rivoluzione come obiettivo finale della loro azione. Se i loro

eccessi e le loro dimostrazioni di forza non possono rappresentare una

giustificazione in favore del golpe militare, appare, comunque, assolutamente

necessario porsi numerosi interrogativi sulla natura e le conseguenze della loro

evidente ambiguità e del loro accecamento sulla questione della democrazia.

NOTE

(1) Il padre del vecchio presidente del Cile dal 2006 al 2010, Michelle Bachelet;

(2) Bando n. 5 riprodotto in C. Garreton Merino, “Par la fuerza sin la razon”,

LOM Ediciones, 1998, Santiago del Cile;

(3) Garreton Manuel Antonio, “El proceso politico chileno”, Flasco, Santiago del

Cile, 1983;

(4) Moulian Tomas, “Fracturas”, LOM Ediciones, Santiago del Cile, 2006;

(5) Espropriazione del controllo di circa 300 imprese in situazione di monopolio

(carbone, siderurgia, trasporti e banche) che dovevano servire di base alla

costituzione di area di proprietà sociale; prosieguo della riforma agraria

cominciata con Eduardo Frei Montalva (1911-1982) (espropriazione di 3 mila

grandi proprietà giudicate mal sfruttate e conseguente ridistribuzione a

contadini riuniti in cooperative); forti aumenti salariali per rilanciare l’economia

con un aumento dei consumi delle classe popolari); ambiziosi programmi di sanità

pubblica, alloggi e di educazione; apertura di relazioni diplomatiche con i paesi

del blocco socialista.

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