“MERDE !”, La GUARDIA muore, ma non si arrende !
(Pubblicato sul n. 282, dicembre 2020, della Rivista Informatica “Storia in
Network” - www.storiain.net)
Waterloo, 18 giugno 1815. L’ufficiale alla testa dell’ultimo battaglione
imperiale, nonostante la ritirata generale, continua impavido nel
combattimento, lasciando ai posteri in questi termini l’immagine eroica della
resistenza agli Inglesi.
Preambolo: Hugo sdogana Cambronne
Victor Hugo (1802-1885), nei Miserabili, è il primo che si azzarda ad
utilizzare per iscritto questa espressione, che tutti ripetevano, anche se
con discrezione, nel periodo dopo la battaglia di Waterloo, attribuendola
al generale che comandava l’ultimo quadrato della Guardia Napoleonica,
di fronte agli Inglesi la sera dello scontro. “Un generale inglese, - Colville,
secondo alcuni o Peregrine Maitland (1777-1854), secondo altri - aveva loro
gridato: valorosi Francesi arrendetevi !”, ma il generale Pierre Cambronne
avrebbe loro risposto “Merde !”. L’attribuzione di questa esclamazione a questo
personaggio è stata sempre contestata. Nel momento della comparsa dei
Miserabili, nel 1862, la questione provoca uno scandalo e suscita anche vive
polemiche. L’uomo ha effettivamente pronunciato la parola o la frase che gli viene
attribuita: “La Guardia muore ma non si arrende” ? Una cosa è certa, il mistero
che ancora aleggia intorno a questa frase risale alle prime ore che seguono la
battaglia di Waterloo.
Pierre Jacques Etienne Cambronne (1770-1842), il presunto autore del fatto,
risulta della stessa generazione di Napoleone Bonaparte (1769-1821). Egli è nato
a Nantes nel dicembre 1770 da un padre bottegaio. Arruolato nell’esercito nel
1792, egli scala rapidamente i gradi della carriera militare e partecipa alle
principali campagne militari della Rivoluzione e dell’Impero. Egli esce
effettivamente dall’ombra quando viene scelto da Bonaparte per comandare i 400
uomini della Vecchia Guardia che l’imperatore ha avuto l’autorizzazione di portare
con sé nell’isola d’Elba, di cui Cambronne diventa il governatore militare. Egli
risulta anche uno dei principali attori del “Volo dell’Aquila” nel marzo 1815
dall’Elba fino a Parigi. Qui, il personaggio ritrova il suo posto nell’ambito della
guardia imperiale, come comandante del 1° Reggimento cacciatori. E’ proprio in
questa funzione che egli prende parte alla campagna del Belgio e combatte a
Waterloo. La Guardia rimane in riserva per quasi tutta la giornata del 18 giugno
1815, mentre la cavalleria dà l’assalto sul pianoro dietro il quale si nascondono le
truppe inglesi comandate da Wellington.
La speranza sembra cambiare di campo
Verso le ore 19.00, mentre i Prussiani arrivano da est, Napoleone dà ordine ad
una parte della Guardia di passare all’assalto delle linee nemiche. La vista dei suoi
cinque battaglioni che marciano in buon ordine con le armi in pugno, rianima, per
un momento, gli altri combattenti disseminati sulle pendici del pianoro. Ma le
linee inglesi non flettono e respingono con vigore i nuovi attacchi francesi a colpi
di mitraglia. L’annuncio del ripiegamento della Guardia si diffonde, a quel punto,
nell’esercito, provocando una ritirata generale. Napoleone ha ormai a sua
disposizione appena tre battaglioni, che fa disporre in quadrato. Uno di essi è
comandato dal generale Cambronne, che si trova, a cavallo, nel mezzo dei suoi
uomini. I suoi uomini, baionetta innestata, tentano di respingere le cariche della
cavalleria inglese e subiscono il fuoco dell’artiglieria avversaria. Napoleone
abbandona le sue truppe ed il battaglione guidato da Cambronne viene a
costituire, in effetti, “l’ultimo quadrato”, che cerca di resistere alla valanga
nemica. Dopo che un generale inglese ha chiesto ai Francesi di arrendersi,
ottenendo una risposta negativa da parte di Cambronne, il fuoco riprende con
maggiore vigore. I ranghi francesi vengono decimati, Cambronne, che ormai
combatte disteso a terra, viene colpito alla fronte da un proiettile, una ferita
che lo metterà fuori combattimento fino alla cattura da parte degli Inglesi.
Il generale ha effettivamente pronunciato la frase e la parolaccia che gli vengono
attribuite ? Ferito in combattimento, Cambronne risulterà incapace di riferire il
racconto degli ultimi assalti inglesi. Eppure, sei giorni dopo la battaglia, il Journal
General riferisce dell’eroica resistenza che hanno opposto gli ultimi “quadrati” e
designa il generale Cambronne come l’autore di questa espressione, destinata a
diventare famosa: “La Guardia imperiale muore ma non si arrende !” In quel
momento nessun soldato imperiale è ancora arrivato a Parigi e, la sera stessa, la
medesima informazione viene ripresa da un’altra testata il Patriota dell’89. Nel
giro di poco tempo la notizia fa il giro della capitale francese. La frase sarebbe,
pertanto, stata inventata di sana pianta, da un giornalista in cerca di
sensazionalismo, probabilmente individuato in un certo Michel Nicolas Balison de
Rougemont (1781-1840).
E se fosse stato il generale Michel ?
La frase si basa comunque su un sentimento condiviso, che tende a rendere
omaggio al ruolo tenuto dalla Guardia nel corso della battaglia, e, più in generale,
durante tutto il periodo dell’Impero. Due giorni più tardi, i Comitati della
Federazione parigina decidono di erigere un monumento dedicato “ai valorosi
della Guardia imperiale morti il 18 giugno”, sul quale viene riportata la frase, già
diventata celebre. Essa viene ulteriormente citata alla Camera dei
Rappresentanti il 28 giugno seguente; il deputato della Correze, Penieres,
l’attribuisce in quella sede a Cambronne. Va comunque sottolineato che, a quella
data, tutti ignoravano la sorte toccata al generale, considerato morto sul campo
di battaglia.
Questa citazione contribuisce in gran parte a formare la leggenda della Guardia.
Essa va incontro ad un grande successo, tanto da essere ripresa in poemi e viene
anche utilizzata per illustrare diverse rappresentazioni degli ultimi istanti della
battaglia, disegnate dall’incisore Hyppolite Bellangé o Horace Vernet (1789-
1863), Cambronne, rientrato in Francia, qualche mese dopo i fatti, negherà
sempre di aver pronunciato queste parole. Nonostante ciò, le stesse parole
vengono incise sulla statua del generale, che la città di Nantes gli ha dedicato
dopo la sua morte, non senza sollevare polemiche. In effetti, gli eredi del
generale Claude Etienne Michel (1772-1815), morto a Waterloo, avevano
rivendicato per il loro genitore la paternità delle parole pronunciate. 20 anni più
tardi, nel giugno 1862, nel momento della discussione provocata da Victor Hugo,
un certo Antoine Deleau, veterano di Waterloo (venticinquenne all’epoca dei
fatti), fornisce una testimonianza nella quale attribuisce a Cambronne, sia la
frase, sia la parolaccia. La sua testimonianza viene garantita da alte autorità
civili e militari. La dichiarazione, rimbalzata in numerosi giornali, gli procurerà la
croce della Legion d’Onore nel luglio 1862. Di fatto, Deleau non apparteneva al
battaglione comandato dal generale Cambronne, ma il veterano ha talmente
ascoltato il racconto di questa storia da 47 anni che la rivive come se vi fosse
stato presente.
Nel 1815, mentre è ancora prigioniero in Inghilterra, Cambronne riconosce,
tuttavia: “Io non ho detto quello che mi viene attribuito, ho solamente risposto
un’altra cosa … ” Qualche anno più tardi, egli preciserà di “aver pronunciato delle
parole, forse meno brillanti, ma di una energia decisamente più soldatesca”. La
citazione trascritta da Victor Hugo – anch’egli figlio di un generale dell’Impero –
alla metà degli anni 1860 circolava, allora, di bocca in bocca, ma nessun osava
riportarla per iscritto. Lo stesso Cambronne non ha mai voluto riconoscerne la
paternità. Un termine pronunciato nel momento più forte della carneficina e che
non doveva sembrargli un titolo di gloria, dal momento che era entrato a far
parte della nobiltà borbonica e che si era sposato con una inglese.
Cambronne ha sotterrato il 1° Impero
Egli, in effetti, cerca a quel punto di far dimenticare il suo passato di
“manigoldo”. Ma, in realtà, è proprio questo passato che rende credibile la
formula lanciata sotto la pressione di una battaglia che volge in una sconfitta. Il
termine “merde”, come molti altri, fa parte del vocabolario militare e risuona
comunemente nei bivacchi o all’interno dei ranghi dell’esercito. Cambronne,
peraltro, aveva guadagnato la nomea di essere un uomo di carattere, pronto
sempre ad arrabbiarsi. E come dirà uno dei suoi amici, “su un campo di battaglia
non si ha il tempo di comporre delle belle frasi” ed in ogni caso io non posso aver
detto tutto questo poiché “non mi sono arreso e non sono morto”. Comunque sia,
la parola e la frase sono state talmente ripetute nel tempo, che ormai sono
entrate a far parte integrante del mito napoleonico. Quanto a Victor Hugo, lo
scrittore non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di utilizzare l’imprecazione di
Cambronne per scatenarsi in uno dei paragoni favoriti fra il 1° ed il 2° Impero:
“Cambronne a Waterloo ha sotterrato il 1° Impero con una parola nella quale è
nato il 2° !”.
BIBLIOGRAFIA
Accatino Alfredo, Gli insulti hanno fatto la storia, Milano, Piemme, 2005;
Calvet Stéphane, Cambronne, la légende de Waterloo, Paris, Vendémiaire, 2016