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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Gli studenti viaggiatori del Medioevo

Gli studenti viaggiatori del Medioevo

(Stampato su “SUBASIO” n. 1/15 del marzo 2007, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

Tutta l’Europa é fiera oggi degli scambi organizzati fra le università delle varie nazioni. Ma ci si dimentica che in pieno medioevo numerosi studenti lasciavano le loro famiglie per andare a studiare a Bologna, alla Sorbona, a Padova o a Montpellier. Sfidando i pericoli di un lungo viaggio, il dolore dell’esilio ed, a volte, le privazioni materiali.

 

Nel 13° secolo, lo sviluppo delle scuole urbane dà vita alle università molte delle quali, attraverso la fama dei loro “lettori”, vengono a costituire un faro di aggregazione per molti giovani venuti da lontano. Gli studenti stranieri erano spesso iscritti nel registro delle “Nazioni”, istituzioni specifiche destinate ad inquadrarli ed a soccorrerli, se necessario. La precarietà e l’esclusione restavano comunque il loro premio quotidiano. Fra questi studenti pronti a traversare l’Europa per studiare, i Tedeschi erano certamente i più numerosi. “Che tutti gli studenti che viaggiano per motivi di studio possano spostarsi e permanere in sicurezza. ( …….). Chi non avrà pietà di loro, che, per l’amore della scienza, si sono esiliati, da ricchi sono diventati poveri, senza risparmiare le loro forze ed esponendo la loro vita a tutti i pericoli ?” In questo modo si esprimeva nel 1158 l’Imperatore Federico Barbarossa in una solenne costituzione con la quale forniva diverse garanzie, vantaggi e privilegi ai Tedeschi che partivano per studiare diritto in Italia, costituzione che sarà più tardi estesa a tutti gli studenti dell’Occidente medievale.

Ma é proprio nel 12° secolo, con lo sviluppo delle scuole cittadine, che emerge nelle società europee la figura dello studente (scolaris). La maggior parte di questi erano dei chierici e godevano di privilegi fiscali e giudiziari. Tutti comunque costituivano una categoria a parte nella popolazione medievale, caratterizzata da un proprio modo di vita, dal suo tipo di formazione e da specifiche speranze di carriera.

In effetti le scuole che compaiono sulla scena europea all’epoca e che si specializzano nel campo delle nuove discipline sono abbastanza rare: Filosofia e Teologia a Parigi, Diritto a Bologna, Medicina a Salerno ed a Montpellier. La loro fama si estendeva in tutta l’Europa e dei giovani intellettualmente ben dotati, entusiasti ed ambiziosi, non esitavano ad intraprendere dei lunghi viaggi per venire ad ascoltare i vari e rinomati professori dell’epoca.

Nel 12° secolo queste scuole danno origine alle Università (Studia Generalia), meglio organizzate e strutturate, riconosciute dai Papi e dai Principi, e solidamente provviste di privilegi. Il loro numero aumenta progressivamente: circa 15 alla fine del 13° secolo, principalmente in Italia ed in Francia, 34 agli inizi del 1400 e 66 verso il 1500. Ma queste istituzioni non rappresentavano, in Occidente ed all’epoca, una rete organizzata del sapere, soprattutto ove si consideri che solo qualcuna, come Bologna, Parigi, Montpellier, godevano di una reputazione internazionale, mentre le altre, specie le più recenti, si rivolgevano esclusivamente ad un reclutamento studentesco di tipo regionale.

Normalmente nel medioevo lo studente universitario è raramente originario della città dove studia. In effetti per la grande maggioranza degli studenti il loro villaggio o il loro borgo natale non distava che qualche giorno di marcia dalla loro università. In tali condizioni i sussidi familiari potevano pervenire con una certa facilità.. La lingua, i costumi della città universitaria non risultavano estranei alla loro cultura di origine. Insomma per una buona maggioranza degli studenti il disorientamento o disagio sociale era estremamente limitato.

Ma molti altri venivano, invece, da molto più lontano. Non esisteva nel Medioevo un criterio semplice per definire e catalogare questi “studenti stranieri”. Si possono comunque rilevare diverse caratteristiche generali, i cui effetti normalmente si cumulano: prima di tutto la lontananza geografica, che rendeva difficile dei rientri periodici al loro paese natio e soprattutto l’invio di denaro e l’arrivo di notizie; l’appartenenza di norma ad un altro regno o principato e quindi ad un altro sistema politico e giuridico; la differenza, quindi, della lingua vernacolare (quella parlata all’interno delle loro comunità) e di costumi.

Per tutte queste ragioni lo studente straniero si sentiva effettivamente tale nella città dove si recava a studiare; egli era ugualmente percepito come tale dai suoi maestri, dai suoi compagni di studio e dall’insieme della popolazione della città che l’ospitava, spesso per diversi anni.

Questo sentimento di estraneità era peraltro rinforzato dal fatto che nelle università medievali gli studenti stranieri sono sempre stati poco più che una minoranza. Raramente essi hanno raggiunto il quarto degli effettivi, come nell’Università di Bologna verso la fine del 1200. Altrove, dove la documentazione statistica non risale che al 14° ed al 15° secolo, essi non superano di norma il 10%. Gli stessi dati si possono constatare verso il 1400 anche presso la Sorbona di Parigi, in una epoca, in effetti, dove la Guerra dei Cent’anni ed il Grande Scisma, non incoraggiavano certamente la mobilità studentesca.

Comunque sia, la mobilità studentesca medievale aveva una sua specifica geografia ed una sua cronologia. Dal 12° secolo al Rinascimento, i Tedeschi hanno sempre costituito il grosso degli studenti stranieri europei ed anche se in misura minore molti altri studenti provenivano dai margini settentrionali ed orientali dell’Europa cattolica. Scozzesi, Scandinavi, Polacchi, Ungheresi non esitavano di certo ad intraprendere lunghi viaggi per andare a studiare la Teologia a Parigi o il Diritto in Italia. Ed anche quando, a partire dalla fine del 14° secolo, i loro paesi hanno cominciato a dotarsi di proprie università, questo flusso migratorio si è sempre mantenuto.

Gli Inglesi, che, nell’11° e 10 secolo, erano abituati ad attraversare la Manica, per studiare specialmente a Parigi, nel 14° secolo scompaiono quasi completamente con lo sviluppo oltre Manica delle Università di Oxford e di Cambridge e gli Spagnoli, che numerosi si recavano a studiare diritto a Bologna prima del 1300, nel periodo successivo diventano più rari, per effetto delle guerre del medioevo, del contemporaneo sviluppo delle università iberiche e francesi quali, Salamanca, Lisbona e Tolosa e dell’ascesa dei sentimenti nazionali.

Gli Italiani, proprio per la loro maggiore disponibilità di istituti di formazione presenti, sono stati i meno interessati a questo flusso migratorio internazionale, se si eccettuano peraltro i numerosi francescani e domenicani, come ad esempio un Tommaso d’Aquino o un Bonaventura da Bagnorea o Bagnoregio, che i loro rispettivi ordini inviavano a studiare alla Sorbona.

In effetti in Italia gli studenti trovano a ragionevole distanza tutto quello di cui avevano bisogno in materie d’istruzione, Bologna, Perugia e Padova per il Diritto; Salerno per la Medicina.

Con qualche rara eccezione (vedasi l’Imperatore Federico 2° che obbliga nel 1124 gli studenti del Regno di Sicilia a frequentare lo Studium napolitanum), le autorità medievali incoraggiavano la mobilità studentesca. Le università, di cui quali il Papato garantiva gli statuti ed i privilegi, erano una istituzione di Cristianesimo. Un po’ dappertutto si insegnavano gli stessi programmi, tratti dal fondo comune della cultura occidentale (Aristotele, la Bibbia, il diritto romano). Ovunque venivano utilizzati gli stessi metodi pedagogici e venivano rilasciati gli stessi diplomi. Ovunque infine il latino, una lingua che tutti gli studenti avevano appreso nelle scuole locali prima di partire per l’Università, era la lingua dell’insegnamento ed anche la lingua usuale della comunicazione nel mezzo universitario.

Le autorità laiche non restavano a guardare e normalmente garantivano agli studenti, nel solco della grande tradizione del Barbarossa, il mantenimento o il prolungamento dei privilegi concessi, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, quali l’esenzioni fiscali, l’immunità giudiziaria (gli studenti erano soggetti solo alla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici).

Nelle grandi Università, per lo meno, gli studenti stranieri non erano totalmente abbandonati a sé stessi, fermo restando il fatto che essi di norma non erano sprovvisti, né di mezzi, né di ambizione. Per intraprendere un lungo viaggio e restare per molto tempo all’estero (gli studi duravano in media non meno di cinque anni), occorrevano delle risorse familiari o personali, delle amicizie, oltre naturalmente a coraggio, audacia e determinazione. Essi erano in genere di origine agiata, spesso nobili. Essi viaggiavano in gruppo, a volte accompagnati da servitori. Una volta giunti sul luogo essi spesso ritrovavano, fra gli studenti e persino i maestri, dei loro compatrioti che li accoglievano e non di rado li ospitavano.

Molto rapidamente appaiono delle istituzioni specifiche per venire in loro aiuto. Le più importanti erano le “Nazioni” studentesche, ricordate presso i giuristi di Bologna già dalla fine del 12° secolo. Indubbiamente dei gruppi inizialmente spontanei, queste “Nazioni” avevano i loro ufficiali, le loro assemblee, la loro cappella e le loro feste. Cooperando anche al buon funzionamento dell’Università, esse erano allo stesso tempo per i loro membri, strutture di accoglienza e di controllo. Disponevano di un servizio di corrieri che permetteva agli studenti di rimanere in collegamento con la loro regione d’origine.

Spesso sembra persino che gli studenti si iscrivessero nella scuola di un “lettore” della loro stessa nazione. A Bologna sono esistite fino a diciassette “Nazioni ultramontane” e la Nazione Germanica era di gran lunga la più importante.

A Parigi in una epoca più o meno coeva esistevano appena quattro nazioni: Francia, Normandia, Piccardia ed Inghilterra. Solo quest’ultima (che a partire dal 14° secolo era composta essenzialmente da studenti scozzesi, olandesi, tedeschi e scandinavi) era considerata veramente come una “nazione straniera”.

L’iscrizione ad una Nazione era obbligatoria. Il tipo di alloggio per contro dipendeva dagli stessi studenti. Quelli che ne avevano i mezzi potevano da soli o insieme ad altri, affittare una camera, un piano di una abitazione o addirittura una casa. Altri invece prendevano pensione presso un “lettore” della loro nazione o chiedevano un aiuto dalla loro città di origine. Esisteva nella città di Ypres una confraternita di vecchi studenti, che forniva delle borse di studio a favore di giovani fiamminghi, partiti per studiare a Parigi. Una piccola minoranza di studenti (in teoria i più poveri) erano ospitati in un collegio, che forniva loro da vivere, il convento, una biblioteca ed a volte delle lezioni.

Fra i numerosi collegi fondati nelle università medievali, certuni furono dei collegi nazionali, destinati a questa o quella categoria di studenti stranieri. Il più sontuoso ed organizzato è stato il Collegio degli studenti spagnoli a Bologna (1364). Ma se ne possono ricordare almeno sette a Parigi: Collegio di Costantinopoli per i Latini d’Oriente (1204), Collegio di Dacia per i Danesi (1275), Collegio d’Upsala, di Skara e di Linkoping per gli Svedesi (rispettivamente, 1285, 1292 e 1317), Collegio dei Lombardi per gli Italiani (1334), Collegio dei Tedeschi (1345 circa).

L’esistenza di Nazioni e di Collegi nazionali non erano però sufficienti a mettere gli studenti in salvo da tutte le difficoltà decorrenti dalla loro origine lontana e questo è testimoniato da alcune corrispondenze, da testimonianze letterarie e da procedure giudiziarie. La lontananza geografica molte volte generava nostalgia ed inquietudine, perché le notizie arrivavano con il contagocce e qualsiasi problema di carattere familiare poteva portare a considerare un ritorno al loro paese attraverso un viaggio lungo, costoso e forse pericoloso.

Precarietà ed incertezza del domani erano il peso quotidiano della lontananza. Infatti l’arrivo dei sussidi attesi era quasi sempre aleatorio, fatto che obbligava a chiedere in prestito o alla richiesta di riduzioni o dilazioni di pagamento, compresi anche i diritti da pagare per la frequenza o per dare un esame. I corrieri delle “Nazioni” o gli stessi studenti potevano essere attaccati lungo il cammino o vittime di doganieri troppo zelanti, che non di rado procedevano al sequestro dei beni o all’applicazione di multe. Recuperare poi i beni o le somme ingiustamente sottratte o pagate era un affare, anche con l’appoggio dell’Università, una impresa decisamente delicata.

A queste difficoltà materiali si aggiungeva un clima a volte pesante. Il primo problema era quello della lingua. Certamente si poteva parlare in latino, ma nella vita di tutti i giorni gli studenti stranieri parlavano fra loro nella loro lingua d’origine. A Parigi in particolare, il fatto di parlare molto male il francese li condannava a rimanere nell’ambito del loro gruppo, conducendoli all’isolamento. Questo tipo di comportamento li metteva in cattiva luce agli occhi del popolino, degli artigiani, dei tavernieri, dei sergenti, moltiplicando in tal modo le occasioni di malintesi e di conflitto. Dall’incomprensione era quindi molto facile passare al disprezzo e da questo alla xenofobia.

Sempre a Parigi i membri della Nazione chiamata “Inglese” si lamentavano di essere oggetto di disprezzo da parte degli altri e di essere sempre posti fra gli ultimi. Fatto ancora più grave che al primo scatenarsi di un litigio, le insinuazioni e gli insulti di tipo xenofobo scorrevano a fiumi. I documenti o le cronache dell’epoca ce ne forniscono ampia testimonianza: di fatto nei tafferugli fra studenti, ma anche con i borghesi o con i sergenti, gli stranieri vi erano quasi sempre implicati.

Nella Cronaca di Jacques de Vitry, dell’inizio del 13° secolo, gli studenti stranieri hanno già la reputazione di “Mangioni”, “uomini sanguinari” e di “persone furiose”. Dal 1424 al 1439, un lungo processo oppone l’Università di Parigi ad un maestro d’arti Paolo Nicolai della Schiavonia, un Croato della Diocesi di Zagabria. A prescindere dall’oggetto della causa, tra l’altro molto ingarbugliata, quello che è interessante notare è proprio il fatto che il predetto maestro si lamenti con forza delle assurde calunnie suscitate contro di lui, a causa delle sue lontane origini balcaniche; tra le tante calunnie lo riferivano membro della setta eretica dei Bogomili o di quella dei Greci scismatici.

Incidenti di questo genere erano molto frequenti e certamente gli stessi si sono senza dubbio moltiplicati verso la fine del Medioevo con lo sviluppo delle monarchie nazionali e la nascita del sentimento patriottico, fomentato anche dalle guerre e dai ripetuti scismi religiosi. Le “Nazioni” perdevano spesso la loro tradizionale neutralità, tanto che nel 1470, Luigi 11° di Francia, farà espellere da Parigi tutti gli studenti sottoposti alla giurisdizione del suo nemico Carlo il Temerario di Borgogna.

Ma gli studenti stranieri non si lamentavano solamente della xenofobia degli autoctoni, molto spesso scoppiavano delle contestazioni e delle risse fra gli stessi stranieri che trasponevano nel loro piccolo mondo universitario le dispute nazionali (Scozzesi contro Inglesi; Danesi contro Finlandesi, Tedeschi contro Croati, ecc.).

Ma non bisogna per questo trarre da tutti questi episodi, spesso isolati, un quadro troppo nero della situazione. Le corrispondenze di Jean de Jeinszstein, futuro arcivescovo di Praga o del canonico svedese Jean Hildebrandi, entrambi studenti alla facoltà di teologia della Sorbona verso la fine del Medioevo, ci mostrano degli studenti pieni di ammirazione e di gratitudine per le università che hanno visitato nella loro vita di studenti. Se molti studenti stranieri, una volta laureati rientravano in Patria, molti di loro sceglievano, per contro, di rimanere sul posto e di percorrervi la carriera universitaria.

Nel 15° secolo il più celebre professore di medicina dell’Università di Montpellier, il Cancelliere Giacomo Rotschild, detto “Angeli”, veniva dalla lontana Kolberg in Pomerania.

In ogni caso la popolarità fornita da un viaggio di studio all’estero, a parte i luoghi comuni e le difficoltà del vivere in terra straniera, era comunque per quei tempi la naturale risultante della fierezza di aver viaggiato in paesi lontani, di aver frequentato colleghi di tutte le origini, di aver ascoltato celebri maestri e di avere soprattutto ottenuto un diploma prestigioso.

La seconda metà del 15° secolo, con un contesto generale più favorevole (ripresa economica, relativa riduzione delle guerre e delle epidemie), torna a dare un nuovo impulso a questo fenomeno sotto forme diverse. Sviluppo per certi aspetti paradossale, ove si consideri che era ormai decisamente molto più facile trovare nel proprio paese l’università di cui si poteva aver bisogno.

Ma il fenomeno che si sviluppa a quel tempo assomiglia per certi aspetti alla “peregrinatio accademica moderna. Non si tratta più solamente di partire per andare a studiare in una università lontana e famosa, ormai si desidera visitare in successione, spesso per breve tempo, diverse università, studiando in alcune ed ottenendo dei diplomi nelle altre (meno esigenti); peregrinazione che rendeva anche possibile la moltiplicazione delle nuove fondazioni.

La grande novità è anche segnata dal fatto che, mentre in Francia le Università di Parigi e di Montpellier riescono a stento a mantenere un certo grado di attrazione, è ormai l’Italia, l’Italia del Rinascimento, che si impone nel mondo occidentale come il maggiore centro di attrazione culturale ed il maggior polo delle migrazioni studentesche. Il richiamo dell’Umanesimo (anche se questo investiva solo parzialmente la vecchia istituzione universitaria), il desiderio di visitare i monumenti antichi, le accademie ed i corsi tenuti nella penisola, diventavano fra le motivazioni essenziali per la nuova classe di studenti viaggiatori.

Anche stavolta la maggioranza di questi studenti è di origine tedesca o dell’Europa Centrale e Settentrionale, ma accanto a loro, alla fine del 15° secolo, gli Inglesi, i Francesi e gli Spagnoli ritrovano la via delle università italiane: non solamente Bologna e Padova, ma ora anche Pisa o Roma.

Nel 12° secolo, a prestar fede ai riferimenti contenuti nella costituzione concessa dal Barbarossa, solo il gusto austero del sapere e l’ambizione del diploma potevano giustificare e consentire di accettare ed affrontare, per studiare lontano, i pericoli della strada, l’ostilità delle popolazioni e l'amarezza dell’esilio volontario. Mentre alla fine del 15° secolo a queste motivazioni di tipo intellettuale si vengono ad aggiungere l’attrattiva della scoperta, la curiosità per le cose da vedere, la simpatia per gli uomini incontrati.

Lo studente straniero del Medioevo diventa in tal modo l’antesignano della figura dell’umanista moderno.

Bibliografia

 

MONNET et VERGER, “Heurs et malheurs de l'étudiant étranger au Moyen Age”, “L'Étranger au Moyen Age”, Paris, Pubblicazione della Sorbona, 2000, pp. 217-232.

RIDDER SIMOENS (dir.), Universities in the Middle Ages, vol. 1° da “A History of the University in Europe”, Cambridge University Press, 1992, pp. 280-304.

TANAKA v, La Nation anglo-allemande de l'université de Paris au Moyen Age, Paris, Aux Amateurs de livres, 1990.

VERGER J., “La mobilité étudiante au Moyen Age”, Histoire de l'éducation n° 50, 1991, pp. 65-90

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