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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Il numero π, o una ricerca senza fine

Il numero π, o una ricerca senza fine

 

 

(Stampato su “SUBASIO” n. 2/15 del giugno 2007, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

 

Circa 2300 anni fà Archimede fornisce il metodo matematico corretto per calcolare la misura del cerchio. Da quel momento inizia la caccia al numero π.

I

 matematici definiscono il numero π (pi greco) come il rapporto fra la circonferenza del cerchio ed il suo diametro. Questa definizione si sintetizza per la ormai nota formula C: 2πr, nella quale C è la circonferenza del cerchio ed r il suo raggio. Si ignora da quando è nata l’idea di questo numero, che vale circa 3,14. Si dispone appena di qualche documento dell’antico Egitto, come di Babilonia, che indicano che il concetto era in nuce già circa quattro mila anni fa.

Si trovano anche nell’Antico Testamento due allusioni indirette al numero π (Cronache 2, 4-2 e Re 1°, 7-28), nelle quali entrambe forniscono - implicitamente - il valore di 3, probabilmente ispirato ai lavori dei Babilonesi.

Ma il valore tre per π è una approssimazione grossolana: un ragionamento geometrico rudimentale mostra in effetti che prendere uguale a 3 il valore di π sarebbe come confondere la circonferenza del cerchio con il perimetro di un esagono regolare inscritto. Se si mette da parte qualche valutazione più o meno empirica, i primi lavori di rilievo per calcolare meglio il π risalgono ad Archimede. Nel 3° secolo prima di Cristo, il siracusano aveva dato, nel celebre testo intitolato “La misura del cerchio”, il primo metodo matematicamente corretto per determinare delle approssimazioni abbastanza precise del numero.

In poche parole la sua idea consiste nel calcolare il perimetro di poligoni regolari inscritti nel cerchio ed il cui numero dei lati è via via crescente: più è grande il numero dei lati, più il poligono regolare inscritto aderisce meglio al contorno del cerchio e quindi, più il suo perimetro si avvicina alla misura della circonferenza cercata.

Per il suo calcolo Archimede utilizza un poligono di 96 lati, cosa che gli permette di ottenere la misura di π al centesimo. Era già un bel successo, ma si può tranquillamente pensare che alla fine dei conti egli non aveva sforzato molto il suo talento: un brillante calcolatore come lui non avrebbe avuto alcuna difficoltà a spingere il suo calcolo più avanti, vale a dire ad aumentare il numero dei lati del suo poligono, per ottenere una approssimazione più precisa.

Questo punto si spiega indubbiamente per il fato che, a differenza di altri pensatori del suo tempo, Archimede si preoccupava molto di più di dimostrare che il suo metodo di calcolo era buono e molto di meno di fornire un valore preciso di π. Si può forse avvicinare questa attitudine a quella di Aristarco di Samo, un suo contemporaneo. Questi aveva fornito un metodo rigorosamente esatto per calcolare le distanze Terra - Luna e Terra - Sole. I calcoli di Aristarco, per contro, basati su delle misure estremamente approssimate (anche per l’epoca) erano ben lontane della raffinatezza della sua costruzione teorica.

Numerosi matematici si sono impadroniti del metodo di Archimede per ottenere maggiori decimali del numero π. All’inizio del 17° secolo non si conosceva ancora metodo migliore per calcolare la circonferenza di un cerchio che inserendovi un poligono regolare i cui lati fossero progressivamente crescenti. Il record degli scopritori di decimali del numero π spetta al tedesco Ludolph Van Ceulen che, all’inizio del 17° secolo, ha ottenuto 35 decimali, utilizzando un poligono regolare con più di 4 miliardi di miliardi di lati.

All’epoca, la ricerca dei decimali di π si poteva giustificare con il fatto che non si sapeva ancora gran cosa di questo numero; in particolare si ignorava ancora se avesse o meno una infinità di decimali.

Il rinnovamento della matematica nel 17° e 18° secolo ha cambiato le cose: la natura matematica di questo numero è stata meglio compresa. Lambert ha dimostrato nel 1768 che il π è un numero “irrazionale”, vale a dire non è il risultato della divisione di due numeri interi. Come conseguenza ne deriva che esso possiede una infinità di cifre dopo la virgola e pertanto la ricerca dei decimali non avrà mai fine.

Questa scoperta non ha però segnato la fine della ricerca perché, parallelamente il progresso “dell’analisi infinitesimale” ha fornito nuovi metodi di approssimazione di π molto più efficaci di quelli di Archimede. La caccia al record ha potuto avere un nuovo slancio. Dalla metà del 20° secolo, il conseguimento di nuovi decimali è il prodotto dei computer, che hanno permesso di scoprire già più di mille miliardi di decimali.

Se la caccia millenaria ai decimali di π è una bella storia, essa fornisce però una idea incompleta di quelle che sono le ricerche su questo numero, unico del suo genere. Una grande parte dell’interesse che esso esercita, deriva dai legami che esso ha con il problema della “quadratura del cerchio” (come costruire con riga e compasso un quadrato della stessa area di un cerchio dato) e dei suoi annessi.

Non è stato attraverso il calcolo delle migliaia di decimali che il tedesco Ferdinando von Lindemann ha potuto dimostrare nel 1882 che la quadratura del cerchio era un problema insolubile, ma conducendo uno studio teorico sulle proprietà matematiche profonde del numero π ! Questo numero nasconde ancora dei tesori nascosti che permetteranno forse di scrivere ancora delle belle pagine sulla storia della teoria dei numeri.

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