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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Le prime artiglierie

LE PRIME ARTIGLIERIE

di Massimo Iacopi

 

(Stampato su RIVISTA MILITARE ESERCITO n. 6/2001, del dic. 2001)

L'avvento delle prime bombarde, che si può far risalire alla prima metà del XIII secolo, ebbe un impatto decisivo e rivoluzionario nella storia delle armi e delle battaglie, decretando la definitiva decadenza degli ideali cavallereschi del Medio Evo. L'onore e la gloria non si affidarono più alla punta di una spada, ma ad un colpo di archibugio o di cannone, in nome della storia e del progresso.

 

 

La spada, nelle sue varie for­me e dimensioni, ha da sempre rappresentato l'ar­ma emblematica del Medio Evo, ma verso la fine dello stesso pe­riodo l'utilizzo in Europa della polvere da sparo e delle prime ar­mi da fuoco dà inizio a un irre­versibile e radicale cambiamento nella società. Sebbene verso l'an­no mille i guerrieri slavi dei duca­ti russi avessero già sperimentato a loro spese l'efficacia e la sorpre­sa dell'uso del fuoco greco da parte dei bizantini, questo utiliz­zo, primordiale in Occidente, di miscele incendiarie (mistura di zolfo e nafta), attraverso rudimentali tubi di lancio, non aveva lasciato una impronta decisiva sul modo di condurre la guerra fra i popoli dell'epoca.

Di fatto verso la fine del XIII secolo, erano giunte in Europa, dall'Oriente, due fondamentali innovazioni tecniche, quali l'im­piego della bussola nella naviga­zione e l'introduzione dell'uso della polvere da sparo. L'uso di quest'ultima era conosciuto già da molto tempo in Cina e in In­dia per motivi pirotecnici e i pri­mi congegni bellici a polvere di cui si ha notizia sono quelli im­piegati dai mongoli di Gengis Khan nel 1219, durante l'inva­sione e conquista dello stato isla­mico del Kharezm (territorio che comprendeva approssimativa­mente gli attuali stati dell'Afghanistan, del Turkmenistan, del Kazakistan e buona parte dell'Iran e del Pakistan). Tali congegni, che sopravanzano di molto - tempo­ralmente - il primo mortaio rea­lizzato dai cinesi nel 1280, erano costituiti da tubi in grado di lan­ciare bombe fumogene, aventi sul nemico soprattutto effetti du­plici di tipo psicologico: uno di paura, conseguente al rumore, e l'altro di disorientamento, deri­vante dal fumo.

Va peraltro soggiunto che fra l'arrivo della così detta polvere da cannone e la sua piena ed effica­ce utilizzazione nelle artiglierie passerà più di un secolo e che, nel Medio Evo, il sintagma Arti­glieria, derivante dall'ars tollendi (arte di distruggere) o dall'ars telorum (arte di lanciare), non ave­va lo stesso significato odierno, ma piuttosto un senso decisa­mente molto più ampio. Di fatto con il termine generico di arti­glieria si designavano allora tutti i congegni di lancio comprese le macchine d'assedio, le stesse ba­lestre e tutti i tipi di bocca da fuoco, anche portatili.

Da un punto di vista storico non si conosce con precisione la data di introduzione delle armi da fuoco sotto i nostri cieli e la prima menzione affidabile risale ad un documento del 1326 quan­do il Governo di Firenze dispone la fabbricazione (Provvisione) di cannoni di bronzo (canones de mettallo) e di palle di ferro, allo scopo di assicurare la difesa del­la città e del territorio della Re­pubblica.

Ma il primo esempio di rappre­sentazione di un prototipo di cannone appare nel manoscritto De Nobilitatibus Sapiens et Sapientia Regum, redatto nel 1325

dall'inglese Gauthier de Milimete. Tale bocca da fuoco si presenta come un vaso, costituito da un bulbo di ferro o di bronzo, con apertura svasata a ugello, che lancia una grossa freccia, presu­mibilmente rivestita di cuoio alla base, per creare il necessario in­tasamento.

Tale forma primordiale di can­none è stata confermata nel 1861 dall'archeologia con il ritrova­mento a Loshult, in Svezia, di una bocca da fuoco in bronzo molto simile, con un rigonfia­mento alla bocca e un maggiore spessore alla camera di scoppio.

Il disegno del manoscritto mo­stra inoltre un artigliere ante litteram che innesca, con un fer­ro incandescente posto all'estre­mo di una lunga asta, quella che appare una miccia. Il personag­gio indossa in particolare un abi­to speciale per proteggere il capo ed il collo, segno evidente della scarsa sicurezza del personale operatore a fronte di un materia­le certamente non affidabile, in sperimentazione e dall'efficacia assai precaria. I primi cannoni infatti non mietono vittime solo

tra i nemici, ma anche tra coloro che lo impiegano, come testimo­nia significativamente la morte di re Giacomo Il di Scozia, avve­nuta nel 1460, a seguito delle fe­rite riportate per lo scoppio di un cannone.

Si può quindi concludere con una certa approssimazione che i primi cannoni fanno la loro apparizione intorno al 1320 e che da un punto di vista militare il primo impiego di artiglierie in combattimento sembrerebbe ri­salire al 1346, in occasione della battaglia di Crecy, ma tale rife­rimento, occorre precisare, vie­ne riportato dallo storico fran­cese Mezeray, vissuto sotto il re­gno di Luigi XIV. Ci dice appun­to il Mezeray che «... gli Inglesi avevano in quella famosa giorna­ta quattro o cinque cannoni che provocarono non poca paura, poiché era la prima volta che si vedevano delle macchine "folgo­ranti o fulminanti" nelle nostre guerre». Anche Giovanni Villani nella sua «Nuova Cronica» fa però un riferimento alla batta­glia di Crecy, citando che le arti­glierie presenti «... facìeno si grande timolto e romore, che parea che Iddio tonasse con grande occisione di gente e sfondamento di cavalli». Sempre nel 1346 viene comun­que segnalato l'impiego dei pri­mi cannoni durante l'assedio di Calais.

Per quanto attiene l'impiego delle artiglierie navali, tale data va spostata al 1372 quando le na­vi spagnole di Enrico Trastamare, alleate del Re di Francia, sconfig­gono e colano a picco davanti a La Rochelle, con il fuoco dei lo­ro cannoni, i battelli della flotta inglese del Conte di Pembroke.

Già nel 1500 il Guicciardini, al­la pagina 211 del volume della sua monumentale «Storia d'Ita­lia», ci fornisce una definizione moderna di artiglieria che: «... comprende ogni arma da fuoco non portatile per ferire lontano, di qualunque dimensione, for­ma o materia qualsi siasi...». In ogni caso oggi l'artiglieria è or­mai per definizione corrente la bocca da fuoco non portatile che si caratterizza appunto per i suoi tre elementi fondamentali. Il propellente (la polvere da spa­ro), il mezzo di lancio ed il proietto mentre con artigliere si indica «ogni uomo assoldato o ascritto al Corpo d'Artiglieria, de­stinato al servizio al pezzo, al ma­neggio oppure maestranze addette alla fabbrica, allestimento, prepa­razione e conservazione delle armi, materiali e munizioni di guerra».

Esaminiamo ora separatamente i vari elementi così come ci ap­paiono all'inizio della loro storia.

IL PROIETTO

Agli albori delle bocche da fuoco e per un certo tempo le frecce si affiancano sicuramente ai proietti di vario materiale. Tale afferma­zione è suffragata da quanto è de­sumibile dal libro dei conti del 1340 della città di Lille in Fran­cia. In tale anno vengono pagati 6 lire e 16 soldi ad un certo Giovan­ni Piet de Fur per tre tuiaux de tonnerre (1) e cento garros, che sono appunto le frecce rinforzate in cuoio. La freccia, anche se mo­dificata, è chiaramente non ade­guata alle nuove esigenze e viene rapidamente abbandonata a van­taggio di elementi proiettabili, quali palle forgiate di ferro, di ra­me, di bronzo o di piombo.

Naturalmente la pietra conti­nua ad essere ampiamente utiliz­zata, così come lo era stata prima della comparsa della polvere da sparo e i primi cannoni prende­ranno anche il nome di petrieri.

Ma ci sono ragioni ben precise che giustificano ampiamente la lunga persistenza dell'uso di tale materiale. Una grossa palla di pietra non solo è più facile da fabbricare ma è soprattutto più leggera di qualsiasi altro metallo forgiato impiegato. La stessa, ol­tre a raggiungere portate maggio­ri, non fa correre il serio rischio di far esplodere la bocca da fuo­co, per effetto dell'eccessivo inta­samento provocato da un equiva­lente proietto di metallo, decisa­mente più pesante della pietra.

La fusione, che modificherà so­stanzialmente il quadro di situa­zione, sarà solo una innovazione del XV secolo e la prima bomba, ovvero palla scoppiante con ani­ma caricata, risulterebbe essere stata utilizzata nel 1452 dai Fran­cesi contro gli Inglesi durante l'assedio di Bordeaux.

In ogni caso i proietti per l'arti­glieria venivano classificati in re­lazione al peso, misurato in lib­bre, o in relazione al diametro, misurato in pollici.

LA POLVERE DA SPARO

Al di là della composizione del fuoco greco, già noto in Occidente verso l'anno mille, nessuno sa come la polvere è apparsa nel­l'Europa del Medio Evo. La storia del monaco alchimista Bertoldo Schwarz o il Nero, inventore del­la polvere, sembra piuttosto una leggenda.

I metodi iniziali di fabbricazio­ne della polvere, molto empirici, sono piuttosto frutto di esperien­ze personali di alchimisti o di ar­tiglieri e gli stessi metodi sono diversi a seconda delle persone, dei luoghi e degli scopi. In ogni caso gli ingredienti fondamenta­li sono tre: salnitro, zolfo e car­bone, probabilmente non raffi­nati e mescolati a mano. I testi conosciuti ci forniscono un rife­rimento molto vago delle per­centuali utilizzate, che - rispetto alle odierne (75% di salnitro, 10% di zolfo e 15% di carbone) - erano rispettivamente ed orien­tativamente del 41%, del 29,5% e del 29,5%. Solo i testi relativi al XV - XVI secolo ci forniscono mi­gliori indicazioni sulla propor­zione degli ingredienti. Un certo Biringuccio, nel 1540, mescola 5 parti di salnitro per una parte di carbone e mezza parte di zolfo (dati riportati nel suo trat­tato di Pirotecnia, stampato a Venezia nel 1559), Il matematico Tartaglia, nel 1546, riporta più di venti metodi di fabbricazione della polvere e un certo Vigenere, francese, specifica, nel 1537, che per l'archibugio occorre una composizione di cinque parti di salnitro contro una di carbone e di zolfo, mentre per il cannone per sette parti di salnitro occor­rono una parte di carbone e un quarto di zolfo.

Tale differenziazione ha una sua logica in quanto una bom­barda non ha le stesse esigenze balistiche interne di un archibu­gio. L'artigliere, in questo caso, ha bisogno di una polvere più vi­va e dalla consistenza più fine ed il polverino, così come lo dice il nome, destinato all'innesco, deve essere ancora più fino. Purtroppo tale polvere, molto instabile, una volta intasata nel­l'anima della bocca da fuoco, ten­de ad agglomerarsi o aggregarsi e la fiamma detonatrice, non rag­giungendo con immediatezza il cuore della massa, determina una combustione irregolare della pol­vere, che continua a bruciare an­che dopo che il colpo è partito. Il tutto con una perdita di potenza e, soprattutto, di prezioso mate­riale, dato che all'epoca la polve­re era molto costosa per la rarità del salnitro.

Questa prima polvere da sparo, chiamata serpentina, oltre che molto instabile, aveva anche la tendenza a dissociarsi, quando trasportata in barili. Per effetto del movimento, il carbone di le­gna, più leggero, risaliva alla su­perficie, mentre il salnitro e lo zolfo si raccoglievano in fondo.

Prima dell'impiego occorreva quindi mescolare di nuovo il composto con gravi rischi di inci­denti, perché per effetto della fri­zione delle parti poteva avvenire un innesco accidentale.

Agli inizi del 1400 si ha un mi­glioramento della polvere grazie alla granulazione. La polvere granulata viene ottenuta attra­verso un processo di fabbricazio­ne ottenuto per mescola dei tre ingredienti allo stato umido.

Dalla pasta ottenuta, decisa­mente più omogenea, lasciata a seccare, si perviene successiva­mente allo stato granulare. Questa nuova lavorazione, che dà origine a un prodotto più stabi­le, permette un trasporto sicuro e di pronto impiego. Inoltre la forma granulare della polvere da sparo dà luogo ad una combu­stione più rapida e omogenea al­l'interno della bocca da fuoco, migliorando le qualità balistiche e riducendo sensibilmente le perdite di materiale.

IL CANNONE

Sin dall'inizio il ferro ed il bronzo sono i materiali utilizzati per la costruzione del cannone. Quelli in ferro sono realizzati con

la stessa tecnica usata per co­struire i barili. Di fatto vengono applicate ed assemblate su un modello di legno (di calibro de­finito), una accanto alle altre, una serie di doghe/verghe di fer­ro forgiato. Queste sono succes­sivamente serrate da una serie di anelli di spessore variabile (fa­sce di tenuta), uniti o spaziati fra di loro, anch'essi di ferro for­giato, di opportune dimensioni. La calettatura o messa in opera delle fasce di tenuta sulle verghe, avviene a seguito della preventiva dilatazione termica delle stesse.

Questa tecnica primitiva ha consentito la fabbricazione di pezzi di tutti i calibri, dalla sottile e allungata colubrina alla grande bombarda, utilizzando al meglio le capacità dei mastri forgiatori.

Sembra incredibile ma le prime artiglierie della storia sono, in termini concettuali, straordina­riamente moderne. Di fatto i pri­mi pezzi, denominati in Francia veugliers e courtaud, sono costi­tuiti da due elementi separati, dal peso massimo di 500 chilo­grammi l'uno: una bocca da fuo­co (volata) e una culatta o scatola a polvere, riunite per il tiro, a in­castro o con parziale avvitamen­to, sopra un rudimentale affusto di legno, che col tempo evolverà verso forme più efficaci. Tale struttura permetteva il carica­mento a retrocarica, attraverso la culatta e presentava, in relazio­ne ai pesi degli elementi compo­nenti, una discreta mobilità tatti­ca, tanto che il tutto poteva esse­re trasportato da otto cavalli senza l'affusto, oppure in tre carichi separati allocati su altrettante carrette tirate da tre cavalli cia­scuna. Tali artiglierie, dal calibro medio da 140 a 190 mm e utiliz­zate soprattutto nelle operazioni di assedio, saranno presenti sul campo di battaglia sino alla metà del 1400. Sebbene concettual­mente moderne e con una caden­za di tiro rimarchevole per l'epo­ca (due, tre colpi al minuto), la loro scomparsa è la naturale con­seguenza del limite tecnico del calibro utilizzato e della carente sicurezza connessa con la tecnica di accoppiamento degli elementi costituenti. Il ridotto calibro uti­lizzato non le rendeva pienamen­te idonee ad un impiego comple­to in batteria, (2) in quanto seb­bene efficaci contro le difese di approccio alle fortificazioni, co­stituite da legname riempito di terra, le stesse erano praticamen­te inadeguate ad aprire brecce nelle mura. Inoltre l'accoppia­mento culatta - volata, necessaria­mente rudimentale, provocava pericolose fughe di gas e di fiam­me verso l'esterno.

Esistono alcuni esempi di tali tipi di cannoni in diversi musei europei e fra questi vale la pena di ricordare un pezzo/volata della fine del 1300, conservato presso il Museo di Luoviers nell'Eure in Francia, dal peso complessivo di 400 chili, dalla lunghezza com­plessiva di 1,66 m e dal calibro di 195 mm, costituito dall'accoppia­mento 20 verghe/doghe dello spessore di un centimetro, man­tenute e serrate da 12 fasce/anelli di tenuta, di tipo e spessore varia­bile. Poteva tirare palle di pietra di circa 8 chilogrammi.

I limiti dei primi cannoni por­teranno, alla fine del 1300, alla realizzazione di un pezzo più po­tente e decisamente più idoneo alle operazioni di breccia. Si tratta della comparsa della bom­barda cannone (3), bocca da fuoco, tipo monoblocco di gran­de calibro, ad avancarica, con una camera a polvere di dimen­sioni decisamente ridotte rispet­to alla volata. Di fatto nell'asse­dio di Oudenarde del 1382 viene segnalato l'impiego della prima bombarda cannone per le opera­zioni di breccia. Con la nuova tecnica, i calibri si incrementano significativamente, così come il peso delle palle da lanciare con­tro le difese.

Se da un lato si ottiene final­mente l'effetto di creare vistose brecce nelle mura avversarie, dal­l'altro i pesi ed i costi crescono in misura esponenziale e la mobilità diventa un ... optional, decisa­mente oneroso. Per trasportare nel 1474 la bombarda Borgogna o Borgognona occorrono ben sei carri per più di cento cavalli, mentre per trasportare la bom­barda Orleans ne occorrono al­meno quarantuno.

Valga per tutte l'esemplare di bombarda esposto presso il Mu­seo dell'Esercito a Parigi. Risalen­te alla metà del 1400 e dal calibro di 486 mm, pesa complessiva­mente 1 500 chilogrammi, ha lun­ghezza di 2,02 metri e può lancia­re proietti di pietra dal peso di 125 chili. La bocca da fuoco è composta di 23 verghe/doghe re­lativamente spesse (1 cm circa), tenute assieme da 33 anelli/fasce contigui, dallo spessore variabile dai 3,5 ai 5 cm per la volata, men­tre la culatta è realizzata con un pezzo massiccio forgiato.

Particolare interessante è quel­lo tratto da un manoscritto che riporta nel dettaglio i materiali, il numero e le mansioni del perso­nale adibito al servizio di una bombarda. 11 persone in tutto: un cavaliere o gentiluomo esper­to nel suo impiego (l'ufficiale ar­tigliere ante litteram), un canno­niere e un suo valletto (leggasi: aiutante), un falegname e il suo aiutante, nonché sei serventi per le operazioni di puntamento. Al pezzo erano inoltre assegnati due armi da fuoco portatili, due ser­pentine e quattro carri affusto per la messa in batteria.

L'impatto della bombarda nei combattimenti è sicuramente de­cisivo, come devastante è certa­mente il suo impiego per le forti­ficazioni dell'epoca. La caduta di Costantinopoli del 1453, segna inconfutabilmente un momento di strapotere delle artiglierie (ri­sulterebbero impiegate in tale oc­casione bombarde da 930 mm di calibro con palle di pietra dal pe­so di ben 590 chilogrammi) sul vecchio impianto delle fortifica­zioni del medio evo, costringen­dole, in tutta fretta a cambiare la loro struttura. Ecco dunque spa­rire dalla geografia difensiva le torri maestose, le cinte ampie e le merlature svettanti, a favore di un generale abbassamento delle strutture, rinforzate da ampi ter­rapieni, che preludono al futuro fronte difensivo bastionato.

Questi nuovi pezzi, pesanti, possenti, portavano nomi di ori­gine, come ad esempio la Trevi­giana, la Bresciana, la Borgogno­na, la Namurese, la Basilea, l'Artois; nomi di committenti, come la Galeazzesca o la Fregosina; no­mi di donne, come Elena, Semi­ramide, la Giulia (realizzata da Alfonso I d'Este con il materiale di una statua di papa Giulio II), la Margherita arrabbiata (Dulle Griete) o nomi bizzarri, non di ra­do minacciosi, come: la Vipera, il Terremoto, il Gran diavolo, il Di­luvio o Non più parole.

La maggior parte delle località di produzione delle artiglierie era concentrata nel Belgio (Namur, Mons, Anversa, Malines, Dinant), nella Germania (Francoforte, Norimberga, Augusta) e nell'Italia settentrionale (Ferrara, Venezia, Brescia, Milano, Genova).

Per dare una misura della po­tenza crescente della bombarda basta citare alcuni dati relativi alla bombarda Dulle Griete (Margherita arrabbiata) di Gand nel Belgio del 1382. Dal peso di 15 tonnellate, con una lunghezza di 5 metri e un cali­bro di 640 mm, poteva lanciare palle di 340 chilogrammi fino ad un chilometro di distanza. Fa­moso per la sua imponenza è anche il Cannone dei Darda­nelli, in bronzo, posto nella Torre di Londra, dal peso di 17 tonnellate e dalla lunghezza complessiva di 6 metri che poteva lanciare palle da 500 kg fino a 1500 metri e lo Zar Puschka, conservato presso il Cremlino di Mosca, pesante 40 tonnellate con un calibro di 920 mm e una lunghezza di poco superiore ai 5 metri.

Altro pezzo di rilievo è il Mons Meg, costruito nel 1449 per Fi­lippo il Buono, duca di Borgogna, e donato nel 1457 al re di Scozia dal suo proprietario. I suoi dati più significativi sono: 6 tonnellate di peso, circa 4 metri di lunghezza, calibro di 480 mil­limetri e palla da 150 chilogram­mi. La bocca da fuoco, oggi custodita a Edimburgo, è costituita da 25 barre longitudinali dì ferro forgiato, serrate da 36 fasce/anelli calettati.

Chiaramente anche ì difensori delle fortezze sono obbligati a ri­spondere con il fuoco al fuoco de­gli assedianti. Ecco dunque na­scere nel 1400  la bombarda mor­taio, con le stesse caratteristiche costruttive della bombarda can­none, ma dal tiro molto curvo e con finì prevalentemente difensivi (4). Sempre dal Museo dell'Eser­cito francese possiamo ricavare alcuni dati caratteristici di base di una dì queste. Costituita da 18 verghe/doghe dì spessore inferio­re al centimetro, rinforzate da 10 anelli/fasce contigui di spessore variabile e con un congegno per regolare l'inclinazione, ha lun­ghezza dì 93 cm, peso dì 475 kg e poteva lanciare palle dì 27 kg. Parallelamente, si evidenzia la necessità dì accompagnare le truppe in battaglia: nasce così l'artiglieria da campagna, ovve­ro cannoni meno gravi e più corti di quelli da muro, che ac­compagnano e sostengono le truppe nei campi o nelle fazio­ni. In pratica ì progenitori dell'ar­tiglieria volante e dell'artiglieria semovente. Entrano quindi nella storia una lunga serie dì artiglierie leggere dai nomi più diversi e la cui classificazione sì rifà o al calibro o al peso della palla lanciata. Così, ol­tre ai cannoni, doppi e persino tripli, abbiamo il serpentino, artiglieria da 2 a 6 pollici (da 50 a 150 mm); la colubrina con calibri da 20 a 50 mm; il sagro, cannone da 17 calibri di lunghezza che lanciava palle da 8 a 12 libbre dì peso; il falcone, o mezzo sagro, che lanciava palle da 6-7 libbre; il falconetto, che tirava palle da 3-4 libbre, lo smeriglio che poteva scagliare palle da una libbra, ecc..

L'artiglieria da campagna avrà le sue prime giornate storiche nelle battaglie di Formìgny del 1450 e soprattutto nella battaglia dì Castìllon del 1453, ricordata come l'ultima battaglia della Guerra dei Cento Anni, dove oltre trecento cannoni francesi hanno fatto la differenza. Per Formìgny il cronista ci ri­corda compiaciuto che l'artiglie­ria mobile francese ha consentito dì «occire ces mechants archers anglois qui ont navré tant de bon chevaliers a Crecy, Poitiers ed Azincourt» (5).

Per l'artiglieria volante e semo­vente, dopo il famosissimo esem­pio agli inizi del 1400 dell'arti­glieria portata su carrette da par­te delle truppe dì Jan Zizka di Trocnow, durante le guerre dì re­ligione hussìte in Boemia, abbia­mo in Italia, nel 1467, il caso del­la battaglia della Molinella dove Bartolomeo Colleoni, Capitano Generale della Serenissima, im­piega per la prima volta, contro Federico III dì Montefeltro, bombarde e spingarde montate su carretti al seguìto delle fanterie.

È chiaro che, con l'aumento delle portate e dei calibri e so­prattutto con la progressiva effi­cienza combustiva della polvere, i vecchi cannoni forgiati divengo­no vieppiù inadeguati alle esigen­ze. La accresciuta violenza dell'e­splosione diviene progressiva­mente insostenibile per cannoni costituiti da doghe dì metallo as­semblate più o meno efficiente­mente e solo nel corso del 1500 la scoperta del processo dì fusione del ferro consente dì passare alla fabbricazione dì cannoni in ferro in una unica colata.

Due notazioni infine sui mate­riali utilizzati per la fabbricazio­ne delle artiglierie. Abbiamo vi­sto che inizialmente vengono impiegati essenzialmente il fer­ro e il bronzo, con una decisa prevalenza del secondo, perlo­meno agli inizi. Sebbene il bron­zo fosse decisamente più costo­so, a causa della necessità dì im­piegare il rame, minerale all'e­poca non facilmente reperibile, il suo processo di lavorazione era sicuramente più semplice ed efficace, in quanto sì avvaleva dì procedimenti costruttivi analo­ghi a quelli per le campane e cioè veniva colato in stampi pre­disposti dove rimaneva sino al suo completo raffreddamento. Il ferro invece, anche se indubbia­mente molto più economico e facilmente reperibile, aveva co­me significativo inconveniente la necessità dì una lunga opera dì fucinatura. Sta di fatto che i cannoni in bronzo, per il loro ri­levante valore, entrarono a far parte del tesoro pubblico di molte Nazioni, dove venivano registrati con ì dati del loro pe­so. Tale prassi rimase in vigore fino al 1500, allorché il progres­so tecnologico, consentendo soddisfacenti risultati nel pro­cesso di fusione del ferro, deter­minerà la produzione di canno­ni in ferro più economici e dal costo complessivo di 1/5 di quel­li in bronzo, a parità di calibro. Il netto miglioramento del pro­cesso di fusione del ferro è da ascrivere, nella prima metà del 1500, soprattutto all'Inghilterra, dove il re Enrico VIII (1509 ­ - 1547), pressato da esigenze mili­tari ma soprattutto da problemi economici, opera una decisa spinta in tal senso. Di fatto, nel 1545, William Levett, parroco inglese del Sussex, regione bri­tannica ricca di ferro, ottiene il primo riuscito esperimento di produzione di cannoni in ferro colato (in realtà si trattava di un prodotto simile alla ghisa, per la notevole presenza di fosforo nel minerale ferroso) e in tal modo inaugura un ulteriore capitolo della storia dell'artiglieria.

Prima di concludere sembra opportuno spendere due parole sull'impatto della comparsa delle bocche da fuoco sull'immagina­rio collettivo dell'epoca. L'arti­glieria, a differenza della netta presa di posizione assunta con­tro l'uso della balestra, non sarà oggetto di uno specifico anate­ma ufficiale religioso, a parte la decisa posizione contraria di Ruggero Bacone. La Chiesa, avendo già precedentemente e pesantemente fallito nella sua azione di interdire l'uso della ba­lestra, si mostra nel caso specifi­co molto più prudente, anche se il nuovo ingegno, con il suo ru­more di tuono ed il demoniaco odore dello zolfo, avrebbe potu­to costituire un serio pericolo per l'anima degli utilizzatori.

A livello intellettuale non poche riserve però rimarranno nel corso dei secoli. La comparsa dell'arti­glieria modifica irreversibilmente la forma dei combattimenti e seppellisce definitivamente e con molti rimpianti l'ideale cavallere­sco del Medio Evo. L'onore e la gloria ora non si sorreggono più sulla punta di una lama e sul va­lore personale del corpo a corpo e la subdola astuzia di un sem­plice colpo di archibugio o di una colubrina determina la fine di tutto un mondo.

Bayard, il famoso cavaliere senza macchia e senza paura, del cui ideale il Don Chisciotte di Cervantes sarà l'ultima espressio­ne, ne era ben conscio quando, nel disperato tentativo di salvare un'era, faceva appendere tutti gli archibugieri nemici catturati. Ma l'inesorabile nemesi storica de­terminerà la sua morte per mez­zo di una palla tirata da uno spa­gnolo sulla sua colonna vertebra­le. Anche il Petrarca lamenta nel De Remedis utriusque Fortunae l'eccessiva diffusione del tartareo instrumento e lo stesso Ariosto nell'Orlando Furioso imprecava contro le nuove macchine “...o  maledetto, o abominoso ordigno / che fabbricato nel tartareo fondo / fosti per mano di Belzebù maligno /che ruinar per te disegnò il mon­do / all'inferno onde uscisti, ti ra­signo ...”.

Francesco di Giorgio Martini, pur denunciando nel suo trattato di architettura civile e militare la «diabolica invenzione», reagirà in maniera più pacata e raziona­le, prendendo realisticamente at­to delle nuove esigenze, realiz­zerà con fertile ideazione, nuove e più efficaci rocche ed apprestamenti difensivi, assumendo, di fatto che, come natura non facit saltus, così non si possono met­tere indietro le lancette dell'oro­logio della storia e quindi del progresso. In conclusione l'artiglieria, nata nella prima metà del 1300 ed ini­zialmente attività per pochi ... ap­prendisti stregoni, giunge verso la fine del 1400 ad un suo defini­tivo consolidamento e, benefi­ciando quindi dei progressi tecni­ci del secolo seguente, verrà ad assumere nel Rinascimento quel­la forma e quella struttura che manterrà fino agli inizi del 1800. Gribeauval, Cavalli, insieme alla riscoperta del medievale carica­mento dalla culatta sono storia di ieri dell'artiglieria, le ultime tap­pe di una storia di oggi che dura ormai da 800 anni.

NOTE

(1) Letteralmente: «tubi da tuono».

(2) La parola batteria, effetto del bat­tere le mura o i ripari di un luogo for­tificato con le artiglierie, divenne col tempo il luogo dove sono disposte (riunione di più pezzi) le artiglierie, in atto di battere o bersagliare truppe e ripari.

(3) Per distinguerla dalla bombarda mortaio.

(4) D'altronde il sistema di carica­mento per la volata non avrebbe con­sentito un agevole puntamento e tiro in depressione dagli spalti di un castello, senza la inevitabile fuoriuscita della palla per gravità dalla bocca da fuoco.

(5) «Uccidere questi malvagi arcieri inglesi che hanno afflitto tanti buoni cavalieri a Crecy, Poitiers e Azincourt».

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Appiano, «Della polvere da fuoco».

Biringuccio, «Pirotecnia», Venezia 1559.

Bottée e Riffaut, «Traité de l'art de fabriquer la poudre à canon».

Bradbury J., «The medioval siege», Boydell 1992.

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* Brigadier Generale, Comandante del Centro Addestramento e Sperimentazione Artiglieria Contraerei

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