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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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La balestra nell'occidente medioevale

LA BALESTRA NELL’OCCIDENTE MEDIOVALE

 

(stampato su “SUBASIO” n. 2/11 del giugno 2003, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi)

Poche armi nel tempo sono state tanto esecrate come la balestra, eppure la sua efficacia non ha più bisogno di essere dimostrata.

Le prime balestre

L’origine dell’arco si perde nella preistoria, gli studi di certe punte di silex, troppo leggere per essere montate sulle zagaglie (giavellotto primitivo) e mostranti evidenti i segni di rotture specifiche, le fanno risalire alla fine dell’epoca solutriana (19.000 – 16.000 a. C.). Bisognerà peraltro attendere l’epoca romana per conseguire un effettivo perfezionamento dello stesso strumento. Questo miglioramento si verifica inizialmente su delle macchine da guerra o scorpio (per allusione al pungiglione dello scorpione) che, in realtà, sono le prime balestre in quanto raccolgono in sé tutti i principi di base della nuova arma, vale a dire: l’uso di un affusto rigido che permette di mantenere teso l’arco in maniera durevole; un dispositivo di caricamento, utilizzante pulegge e leve che permettono di moltiplicare sensibilmente la forza dell’uomo. Si tratta in effetti di una “balestra gigante”, della misura da 1 a 4 metri di lunghezza, che nel tempo si sviluppa notevolmente in dimensioni e potenza e che oggi sarebbe classificabile nel novero delle armi collettive. A dire il vero, parallelamente a questa vera a propria antesignana dell’artiglieria, viene sviluppato anche un modello di tipo individuale, destinato probabilmente ad usi civili quali la caccia e che viene individuato sotto il nome di Arcubalista, la cui raffigurazione è stata bene precisata in un bassorilievo trovato in Francia. Secondo questo reperto l’arcubalista comprende un arco massiccio, probabilmente composito, fissato su un affusto semplice e relativamente corto, munito alla sua estremità di una curiosa presa rotonda. Il bassorilievo non fornisce peraltro alcuna indicazione sul meccanismo di rilascio e di caricamento che, senza dubbio, era azionato attraverso l’impiego delle due mani. Da questo strumento primitivo deriva in ogni caso il nome moderno della Balestra, contrazione del vecchio nome di Balista ad arco. Come al solito sembrerebbe che anche in questo campo i Cinesi ci hanno abbondantemente preceduto, conoscendo perfettamente l’uso balestra che impiegavano correntemente ben prima del nostro medioevo.

La Balestra nel Medioevo

Quest’arma, nota già dal tempo dei Romani, resta però molto in oblio nell’alto medioevo e nel periodo carolingio ed è solo nel 12° secolo che le cronache ne cominciano a parlare diffusamente. Ciò nondimeno recenti scavi condotti su un abitato dell’anno mille hanno permesso di ritrovare una balestra praticamente intatta con l’aggiunta di diverse quadrelli. Ma esiste anche un altro riferimento importante a riguardo, in una illustrazione dell’assedio di Senlis, anteriore all’anno mille, che mostra, in maniera indiscutibile, dei balestrieri in azione. La caratteristica di tale balestre è che il corto affusto rassomiglia notevolmente a quello dell’arcubalista di epoca romana.

La prima descrizione minuziosa di una balestra viene però fatta da osservatori bizantini e traduce il loro sbigottimento nel vedere tali esemplari al seguito delle truppe della 1^ Crociata. Tradotto dal greco il testo recita: ..  “Questa arma non può essere utilizzata solo piazzando i piedi contro l’arco e tirando con le due braccia sulla corda. Nella sua parte centrale essa possiede una guida semicircolare della lunghezza di una freccia, i dardi che sono di differenti forme sono piazzati in questa guida e propulsi dalla corda allorché questa rilasciata. Essi trafiggono facilmente il legno ed il metallo e talvolta si piantano profondamente nei muri od altro ostacolo che incontrano. …”.  A partire da quest’epoca, la balestra comincia a diffondersi talmente rapidamente in Occidente a tal punto che le autorità religiose ritengono doveroso intervenire, ciò a causa della sua terribile efficacia che, naturalmente, si abbatte prioritariamente con effetti disastrosi sulla classe di Cavalieri e quindi dei Nobili. Ecco quindi che il Concilio del Laterano del 1139 stabilisce di interdirne l’uso fra i Cristiani, peraltro con delle sottili distinzioni di tipo pratico. Infatti il suo uso è caldamente auspicato contro gli atei o infedeli, a cominciare dai Saraceni di Spagna e di Terra Santa.

Nonostante questo “sacro interdetto” la balestra si diffonde can grande rapidità nel corso del 12° e del 13° secolo tanto da rimpiazzare l’arco tradizionale, sia in guerra che nella caccia. A quest’epoca in cui le battaglie in ordine lineare sono rarissime, la balestra diviene l’arma ideale nelle operazioni ossidionali, specie per il difensore, che al riparo di merli o di feritoie, può utilizzare un arma precisa e molto potente. Essa, alla maniera del cecchino moderno, risulta molto utile per demoralizzare l’avversario che è costretto ad attaccare allo scoperto o al riparo di mezzi di fortuna. Non di rado i balestrieri prendono di mira gli ufficiali o personaggi importanti delle linee avversarie e fra questi vale la pena ricordare una vittima illustre, Riccardo Cuor di Leone, ferito mortalmente da un quadrello nell’assedio di Chalus in Francia. I contemporanei francesi, per motivi ideologici, interpreteranno tale evento come il segno della vendetta divina su chi più di tutti aveva contribuito alla diffusione della balestra.

Vero il 1280 – 1300 la balestra è ormai l’arma da getto standard in Europa nella quale eccellono particolarmente i Genovesi, per questo assoldati in permanenza nelle truppe del Re di Francia. La sua importanza in questo periodo è consacrata dalla istituzione in Francia della Carica di Gran Maestro dei Balestrieri, anche se permangono delle regioni, molto conservatrici, come il Galles, la cui popolazione utilizza ancora nella guerra l’arco, e molto bene ad onore del vero. Ma l’arco gallese è un arco lungo (longbow), molto più potente di quello ordinario ed il suo impiego deriva dall’addestramento quotidiano al suo uso condotto fin dall’infanzia. 

Edoardo 1° Re d’Inghilterra, avendo ben compreso l’utilità tattica dell’arco nei terreni aperti e piatti, fa adottare quest’arma nell’esercito inglese, obbligando una buona parte della popolazione ad addestrarvisi regolarmente tutte le domeniche dopo la messa. La decisione reale è imposta con tale determinazione che a partire dagli inizi del 1400 l’arco lungo soppianta quasi totalmente la balestra in Inghilterra. Di fatto l’innovazione di Edoardo 1° è proprio quella di utilizzare tatticamente in battaglia delle vaste formazioni di arcieri, protette sulla fronte da pali acuminati piantati nel terreno (per resistere alle cariche di cavalleria) la cui potenza di fuoco, si rivela irresistibile. Di fatto a Crecy nel 1346, oltre al  impiego delle prime artiglierie dagli effetti piuttosto pirotecnici e psicologici, si assiste allo scontro fra la balestra (Francesi e Genovesi) ed il longobow (gallese) ed il risultato sarà disastroso per la balestra e per la cavalleria pesante francese, che sarà l’oggetto principale delle cure dei tiri di saturazione degli arcieri gallesi. Per di più i Francesi faranno nella giornata di Crecy un impiego tattico deplorevole e dissennato dei balestrieri, lasciandoli esposti allo scoperto in aperta campagna, con una portata equivalente a quella dei longbow, ma soprattutto con una cadenza di tiro cinque volte inferiore.

Sta di fatto che gli inglesi con questa innovazione tattica infliggeranno, oltre a quella di Crecy, una serie di sonore sconfitte ai Francesi (Morlaix, Poitiers, Najera, Azincourt, Verneuil), fino a quando questi ultimi non ribalteranno la situazione con la nascente artiglieria da campagna e si affermeranno nella battaglie decisive di Formigny e di Castillon, con le quali chiuderanno anche la guerra dei cent’anni. Crecy, comunque, fra i tanti verdetti, segna irrimediabilmente per la balestra il punto di inizio di un’inarrestabile declino

Spinti dagli eventi anche i Francesi tentano inizialmente di introdurre il longbow nelle loro truppe, ma di fatto, per problemi sociali, per quasi tutta la guerra dei cent’anni, fino all’immissione in linea dei Franchi arcieri, la balestra rimarrà l’arma da getto principale dell’Armata. In questo periodo la balestra conosce ulteriori significativi miglioramenti conseguenti anche al fatto che le armature, specialmente dopo il 1360, vengono ad acquisire una maggiore perfezione e resistenza. Ma le sue migliorie si riferiranno piuttosto alla potenza del suo arco che alla cadenza di tiro, il cui parametro base rimane incompressibile ed in tale contesto si assisterà anche allo sviluppo, come corollario, di meccanismi di ricaricamento sempre più potenti. Nel corso del 1400, con l’arrivo delle prime armi da fuoco individuali sul campo di battaglia, la balestra chiuderà definitivamente la sua breve ma onesta carriera militare.

I componenti della balestra

La Balestra, oltre naturalmente al dardo,  si compone di tre parti principali dal ruolo specifico ben distinto: l’arco, l’affusto ed il meccanismo di rilascio, il meccanismo di ricaricamento.

L’Arco.

L’arco della balestra e decisamente più corto di quello a mano ma per contro è più massiccio per poter guadagnare in potenza. Gli archi dell’11° e del 12° secolo sono in legno massiccio, ricavati dalle stesse essenze utilizzate per fabbricare archi a mano: sono principalmente il cipresso, l’olmo e l’acero. Tutti, come per questi, tagliati in modo da lasciare una spesso strato di legno giovane sulla parte esterna dell’arco. In effetti la parte giovane del legno possiede la caratteristica di essere più elastica rispetto agli strati più profondi. E la qualità di un arco di legno di riconosce infatti dal colore chiaro dello strato esterno.

Una prima significativa evoluzione si produce durante il 12° secolo, probabilmente mutuata dagli archi degli arabi incontrati durante le Crociate: di fatto gli archi delle balestre cominciano ad apparire a struttura composita, tecnologia che implica una rimarchevole ingegnosità. Di fatto per capire il principio dell’arco composito è necessario immaginare la deformazione meccanica subita da un arco  sotto tensione: le parti esterne subiscono un allungamento, le parti centrali rimangono pressoché neutre e le parti interne sopportano una compressione. La genialità della struttura composita consiste quindi nell’associare i materiali più idonei alle differenti esigenze evidenziate. In questo modo le parti esterne vengono costruire con tendini sfibrati, le parti centrali in legno elastico (lamellare o meno) ed infine le parti interne vengono realizzate in corno o fanone di balena. Tutti questi elementi eterogenei sono quindi assemblati (dopo una limatura o rigatura della superfici per renderle più aderenti) con colla di pesce.

Grazie a questa struttura composita la balestra sviluppa sensibilmente la sua potenza, passando da 150 a 400 libbre, mentre l’arco a mano resta al massimo limitato alle 140 libbre, effetto della massima forza muscolare dell’uomo, quando la media delle persone non supera le 100 libbre. Per dare un ordine di grandezza possiamo dire che il più potente arco moderno supera raramente le 75 libbre e le balestre attuali sviluppano mediamente una potenza di 140 libbre. (la libbra e la misura convenzionale della forza di un arco e corrisponde al peso che bisogna sospendere alla corda affinché l’arco - posto in orizzontale - sia teso per la lunghezza di una freccia misurata in pollici). Verso la fine del 1300 la tecnologia permette di realizzare archi in acciaio temprato che saranno di impiego generalizzato nella maggior parte delle balestre, mentre per le balestre più leggere destinate all’impiego a cavallo si continuerà ad utilizzare l’arco composito per poterle rendere più leggere.

Con l’arco d’acciaio si possono così raggiungere potenze incredibili sino a 1000 libbre e per di più la sua fabbricazione risulta assai semplice e rapida. Esso presenta inoltre un ulteriore vantaggio in campagna perché è insensibile alle condizioni atmosferiche, a differenza dell’arco composito che, nonostante guaine regolatrici in pergamena verniciata o oliata, soffre di problemi di igrometria.

L’Affusto ed il Meccanismo di Rilascio

L’affusto è composto da un pezzo di legno di sezione rettangolare. Ad una estremità si ricava una smentatura nella quale si inserisce e si fissa l’arco con l’aiuto di una complessa legatura di corda e treccia di cuoio (o di bielle incernierate all’affusto), il cui scopo è quello di ammortizzare lo choc del rilascio. Per tutta la lunghezza della corsa della corda l’affusto presenta una guida che serve a mantenere e guidare il quadrello durante il tiro. Questa guida termina in un cilindro dentato, la “noce”, che ruota intorno ad un asse trasversale all’affusto. La “noce” presenta un primo dente che serve a trattenere la corda ed un secondo, antagonista del primo, che è trattenuto in sito da un meccanismo di bloccaggio la cui leva esce, a manetta o grilletto, sotto l’affusto. Nel momento in cui la leva di bloccaggio libera il secondo dente, la “noce” ruota sotto la pressione della corda ed espelle il quadrello. Il meccanismo nel suo complesso è semplice ed affidabile. Tenuto conto delle notevoli forze che si applicano sulla “noce”, questa deve essere costruita in materiale molto resistente, inizialmente in corno di cervo, successivamente in bronzo oppure in ferro, a seconda della importanza delle forze in gioco. Per poter trasportare la balestra senza far cadere il quadrello, la noce presentava una piccola rigatura o una smentatura nella quale fare forzare leggermente il posteriore del quadrello, adattato alla bisogna. Ciò consentiva anche di poter effettuare il tiro, dall’alto verso il basso, dalle mura contro gli assalitori. L’affusto termina con una semplice estremità di forma rettangolare o leggermente ogivale. La sua funzione è quella di consentire di appoggiare la balestra sulla spalla del tiratore per facilitare il puntamento.

Accessori normali di un affusto sono anche un rudimentale sistema di puntamento ed una staffa di ferro all’estremità anteriore per inserire il piede per ricaricare o infine per consentire di ancorare o appoggiare a terra la balestra.

Il Meccanismo di Ricaricamento

E’ evidente che la struttura di tale meccanismo è direttamente proporzionale alla forza di tensione dell’arco. In tal modo, mentre i primi archi potevano essere tesi con le due mani e l’aiuto dei piedi, nel 12° secolo l’aumentata potenza delle balestre ha portato a realizzare un nuovo ed efficace modo di ricaricamento. Questo prende inizialmente la forma di un gancio doppio attaccato ad una forte cintura. Per caricare la balestra si piazza la corda nel gancio e quindi si spinge con forza l’affusto con le due mani ed il piede sinistro posto nella staffa. All’inizio del 1300 si inventa un vero e proprio meccanismo, a leva, applicato ad uno spinotto o spillo di caricamento alloggiato nell’affusto, che risulta leggermente più potente del gancio alla cintura. Questo sistema consente però il ricaricamento in ginocchio e quindi al riparo, in operazioni, dietro un grosso scudo fissato ad un paletto (il pavese). La fine dello stesso secolo vede l’introduzione del possente arco d’acciaio che impone l’uso di sistemi di ricaricamento adeguati. Conosciuto con il nome di “bozzello” o verricello, questo meccanismo si compone di due manovelle azionanti un verricello o argano in miniatura sul quale si avvolgono due corde collegate, da un sistema di pulegge o carrucole, alla corda dell’arco. Questo sistema che ha l’evidente vantaggio di essere molto potente ha, per contro, l’inconveniente di ridurre la cadenza di tiro ad appena due dardi al minuto..

Il quadrello o verrettone

La balestra lancia un proiettile specifico: il quadrello o verrettone. Si tratta di una freccia dotata di una punta massiccia la cui sezione, a volte quadrangolare, le aveva fatto attribuire il nome di “quadrello”. Per effetto dell’evoluzione della potenza dell’arco, il quadrello tende ad accorciarsi ed a divenire più pesante e massiccio e la sua forma cilindrica diviene quindi ogivale per necessità aerodinamiche. Va evidenziato che mentre nell’arco a mano la freccia nella sua parte terminale della traiettoria tende a planare, il quadrello, più stabile nell’aria, perché in rotazione e quindi più preciso, non raggiunge distanze molto elevate soprattutto per effetto del suo peso. E’ questo il motivo che nel 1300 la portata del longbow, pur disponendo di minore spinta, si approssimava a quella delle balestre coeve.

Gli impennaggi, costituiti da tre piume piazzate a T, per non interferire con l’affusto, nel 13° secolo vengono rimpiazzati da due alette di legno, pergamena o di cuoio, posti obliquamente al fine di imprimere al quadrello un movimento di rotazione e quindi una maggiore precisione al tiro. Questo principio sarà ripreso per i proiettili dei cannoni con l’introduzione della rigatura delle bocche da fuoco. Questo tipo di impennaggi è quello che ha poi fatto assumere al quadrello il nome di “vireton” e quindi di verrettone. I conti dell’epoca mostrano che i verrettoni vengono prodotti e stoccati in enormi quantità. Non è infrequente trovare documenti nei quali dei castelli approvvigionano per le proprie esigenze degli stock da 10 a 30 mila verrettoni. Tra i suoi dati caratteristici possiamo riepilogare i seguenti: lunghezza da  25 a 35 cm.; diametro da 10 a 15 mm.; peso: da 60 a 150 gr.; velocità: da 60 a 75 m/s.; portata max: da 300 a 500 m.; portata utile da 200 a 400 m. ; Cadenza di tiro: da 2 (1400) a 5 (1300) quadrelli al minuto.

Conclusione

Verso la fine del 15° secolo la balestra e naturalmente il longbow trovano un nuovo ed agguerrito concorrente, il moschetto. Questa nuova arma sviluppa maggiore potenza e precisione, la formazione di un soldato per il suo maneggio è relativamente semplice ed il costo di un proiettile, una semplice palla di piombo di due once, è minimo. Da quel momento i giorni delle armi da getto sono contati. Messe direttamente in concorrenza nel 1515, saranno definitivamente abbandonate nel 1550, anche se la balestra sopravviverà ancora per un secolo nell’ambito della caccia, presumibilmente per effetto della sua silenziosità. Questo suo vantaggio é forse quello che ridato recentemente un nuovo slancio alla balestra moderna che, però, con il suo arco a pulegge e con i sistemi di caricamento ad asta a cremagliera e la sua lunetta di puntamento non ha più molto a che vedere con la sua antenata del medioevo.

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