CILE, 11 settembre 1973, anatomia di un colpo di stato
Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffitionline.com),
del mese di settembre 2020, con il titolo “ANATOMIA DI UN COLPO DI
STATO”
http://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=1944
L’11 settembre 1973, un putsch pone fine brutalmente ai tre anni di governo
di unità popolare di Salvador Allende. Come mai il paese più democratico
dell’America latina è arrivato a quel punto ?
L‘11 settembre 1973, una giunta di governo delle forze armate cilene rovescia
il presidente Salvador Allende (1908-1973) I militari golpisti, ben lungi
dall’indire delle nuove elezioni dopo un periodo di riordino del paese,
governeranno de facto fino al 1980, proclamando il generale Augusto Pinochet
(1915-2006): “Capo supremo della nazione”. Sarà solamente nel 1980 che essi
proporranno di ratificare per referendum una nuova costituzione. Questa
istituisce una vera tutela delle forze armate sul divenire politico del paese e
concede al capo della giunta militare uno statuto di Presidente della Repubblica.
Pinochet viene in tal modo proclamato ufficialmente presidente, senza essere
stato mai eletto e rimarrà in tale carica fino al 1988.
Rottura e radicalismo estremo
Le prime caratteristiche di questo colpo di stato sono la sua brutalità e la sua
dimensione rifondatrice, Le immagini della violenza degli avvenimenti sono rimasti
incisi nella memoria collettiva: il rifiuto di Allende di abbandonare il potere e di
partire in esilio; il suo richiamo ai militari dell’obbedienza che devono al potere
civile; l’attacco dell’aviazione al palazzo presidenziale della Moneda, in pieno
centro di Santiago; il suicidio di Allende per non obbedire alle intimazioni dei
generali ribelli.
All’alba dell’11 settembre, i militari assumono il controllo di tutti i punti
strategici del territorio (centri di telecomunicazioni, edifici pubblici, zone
industriali, bidonville) al fine di spezzare qualsiasi possibile resistenza da parte
degli operai e degli abitanti. Essi arrestano, nel giro di pochi giorni, 45 mila
persone note per la loro appartenenza o le loro simpatie per la sinistra e
l’estrema sinistra.: ministri del governo rovesciato, responsabili politici e
sindacali ed anche i simpatizzanti delle molteplici organizzazioni della sinistra.
Tutti vengono immediatamente interrogati ed internati, con casi di torture, sia
all’interno di complessi militari (caserme o navi da guerra), sia in luoghi requisiti a
tal fine (stadi o persino navi mercantili).
Alla fine del 1973, secondo un rapporto dell’Organizzazione degli Stati
Americani, 1500 civili risultavano già eliminati dalle forze armate. Alcune decine
di essi sono morti negli scontri con i militari delle prime ore oppure sono stati
fucilati con giudizio sommario per essere stati catturati con le armi in pugno;
molti altri sono stati probabilmente eliminati dopo essere stati interrogati in
condizioni indubbiamente poco legittime. Alcuni di questi erano dei militari che si
erano opposti al golpe o sospettai di aver voluto rispettare l’ordine
costituzionale, come ad esempio il generale d’aviazione Alberto Bachelet (1). Per
quanto concerne gli alti responsabili politici del governo e dei partiti che
costituivano l’Unità Popolare di Allende (UP), essi sono stati internati nei carceri
militari e sottoposti a processo. Nel 1975, il paese conta ancora circa 8 mila
prigionieri politici, mentre 110 responsabili sindacali risulterebbero essere stati
eliminati dalle forze dell’ordine. La violenza ha continuato ad interessare la
società cilena per alcuni anni, fatto che provocherà l’esilio all’estero di numerosi
Cileni.
La sorpresa
Il comunicato emesso dalla Giunta nella prima giornata del colpo di stato fornisce
un senso alla brutalità impiegata, che è andata bel al di là di una semplice rimessa
in linea del sistema. Esso abbozza i contorni di un panorama politico in totale
rottura con l’ordine costituzionali fino a quel momento in vigore. La giunta
afferma che Allende si posto da solo in “una situazione di patente illegittimità” e
che egli “ha violato i diritti fondamentali, ha rotto “l’unità nazionale” e che “si è
posto ai margini della Costituzione”. Il presidente, diventato il pupazzo delle
“decisioni dei partiti e dei comitati”, ha messo in pericolo “la sicurezza interna ed
esterna del paese”. Altrettanti motivi per i dirigenti della giunta militare di
“assumere il dovere morale, imposto dalla patria. Di destituire il governo … ed
assumendo il potere per un periodo di tempo imposto dalle circostanze”. Una
decisione assunta “in accordo con i sentimenti della grande maggioranza
nazionale, elemento che rendeva giusti i loro atti davanti a Dio ed alla Storia ed
anche le loro determinazioni … assunte per pervenire a realizzare il bene comune
e l’interesse supremo della patria” (2).
Sebbene il paese si trovi in piena crisi sociale e politica, l’effetto sorpresa
realizzato dal golpe militare è stato notevole sia nel Cile, come anche all’estero.
L’esercito cileno - formato alla prussiana -, anche se molti lo considerano ancora
come la “riserva morale della nazione”, è sempre apparso, sin dalla sua vittoria
negli anni 1930, come una forza della nazione, fedele allo stato ed estraneo ad
interventi nel gioco politico. La sorpresa risulta totale anche riguardo alle
previsioni espresse dagli osservatori stranieri: Allende per molti aspetti
assomiglia ad una specie di Leon Blum (1872-1950)sud americano; il Partito
Comunista (PC) cileno con la sua teoria della rivoluzione per tappe successive
assomiglia al PC italiano; esistono, inoltre, delle possibilità di alleanze inedite fra
un centro democratico cristiano e la sinistra. In ogni caso, nulla lasciava
presagire una tale rottura in un paese considerato come uno dei più democratici
dell’America latina.
Membri dell’intellighentzia cilena, come i sociologi Manuel Antonio Garretton
(1943- ) (3) e Tomas Moulian (1939- ) hanno molto rapidamente diagnosticato
che il golpe è la risultante delle interazioni di quattro fenomeni: le tensioni
crescenti fra settori moderni e settori più arcaici tipici di una società
dipendente e disarticolata, nella morsa di un processo di trasformazione
accelerata; l’ambivalenza della cultura politica cilena di fronte ai principi
democratici; la crisi politica aperta dall’elezione di un presidente socialista; la
volontà di una gran parte delle elites economiche, appoggiate da una larga parte
della popolazione e forti del sostegno degli USA, di agire per un ritorno
all’ordine, anche per mezzo di un golpe militare.
1950-1970: una modernizzazione incompleta
Dagli anni 1950 agli anni 1970, il Cile è stato il teatro di una serie di cambiamenti
sociali ed economici ai quali i politici hanno avuto grandi difficoltà ad adattarsi. Il
primo è stato demografico. Popolato da circa 6 milioni di abitanti nel 1952, il
paese raggiunge i 10 milioni nel 1973. Le conseguenze sociali di questo
accrescimento sono accentuate da un significativo esodo rurale che trasforma
rapidamente il Cile in un paese maggioritariamente urbano. Santiago passa dai 1,4
milioni di abitanti del 1952 ai 2,8 milioni del 1970 ed a quella data la capitale
riunisce un terzo della popolazione del paese.
Il Cile affronta ugualmente un processo di crescita economica sostenuta,
marcata da alcune specificità. In primo luogo, un ruolo crescente dello stato
nell’appoggio alle attività industriali, specialmente quelle della costruzione delle
dighe destinate a produrre energia elettrica. In secondo luogo, una prosperità
fondata soprattutto sulla diversificazione delle esportazioni. Oltre al rame ed
altri minerali, il Cile esporta anche cellulosa (derivata dal legno), prodotti
derivati dalla pesca (farine e conserve di pesce) ed inizia ad esportare dei
prodotti elettronici, chimici e meccanici. Purtroppo, a causa di una carenza di
miglioramenti dei rendimenti agricoli, la crisi dell’agricoltura alimentare si
accentua con la crescita demografica. Il paese risulta progressivamente non in
grado di produrre gli alimenti necessari al mercato locale ed all’improvviso
l’economia cilena, sebbene prospera diventa dipendente dall’estero. Il volume
degli scambi con gli USA non smette di crescere. Questi diventano i primi
acquirenti di rame cileno, estratto dal sottosuolo da compagnie straniere (in
maggioranza americane), i primi fornitori di beni di importazione ed i primi
creditori del paese – le banche americane posseggono fino al 50% del debito
estero del paese in una situazione di inflazione cronica.
Dagli anni 1930, sotto la spinta del partito radicale (centro sinistra
orientativamente), i governi cileni hanno saputo integrare, più o meno bene, le
classi popolari urbane al sistema politico e sono riuscite a far beneficiare, in
condizioni indubbiamente di disuguaglianza, di miglioramenti salariali e di un
migliore accesso all’educazione ed ai servizi sanitari. Ma, a partire dagli anni
1960, questo processo è stato scosso, specialmente dal contesto della guerra
fredda. L’esempio della rivoluzione castrista a Cuba infiamma la sinistra e gli
appelli, dall’altro lato, di Kennedy a riformare strutture sociali ed economiche
“arcaiche”, considerate come il miglior terreno d’azione della “sovversione
comunista”, contribuiscono a radicalizzare le posizioni.
La prudente conciliazione di interessi, i cambiamenti graduali ed il senso della
ricerca di soluzioni negoziate fra i membri della classe politica, quasi tutta
proveniente dai ranghi della borghesia e che si considera, nonostante le
differenze, come appartenente allo stesso mondo, hanno fatto il loro tempo.
La presidenza del democratico cristiano Eduardo Frei (1964-1970), denominata
“Rivoluzione nella libertà” mette in evidenza un nuovo stato di spirito. Frei,
candidato della destra e della Democrazia Cristiana (DC), vince le elezioni del
1964 con il 26% dei voti. Il suo programma è chiaramente riformista e propugna
una riforma agraria (alla quale la chiesa cattolica richiama sin dal 1940 e che essa
stessa ha iniziato a mettere in pratica ridistribuendo alcune delle sue terre), un
miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari, una “cilenizzazione”
del rame (lo stato diventando azionario stimolerà la produzione), una riforma dei
sistema educativo e la concessione del diritto di voto ai circa 10% di analfabeti,
ancora presenti nel paese. Frei pretende peraltro governare, trasformando il suo
partito, ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, in una organizzazione più ampia
che integri alcune correnti provenienti dalla destra conservatrice, ma anche
correnti della sinistra e movimenti popolari.
Il progetto di rendere l’agricoltura cilena più produttiva, creando una nuova
classe di piccoli proprietari modernizzatori viene immediatamente percepita
dall’oligarchia fondiaria come un primo passo verso il collettivismo statale. Per
contro, quelli non interessati dalla riforma sperano la sua radicalizzazione e
tendono l’orecchio alle proposte dei militanti di sinistra e di estrema sinistra. La
volontà di migliorare la sorte degli emarginati urbani conduce agli stessi risultati:
molti non rimangono soddisfatti dei gesti fatti in loro favore.
Alla fine dei conti, la “Rivoluzione nella libertà” fa prendere coscienza ai gruppi
meno favoriti della loro capacità di pesare sul gioco politico. Nel 1969, tocca
all’esercito di far valere le sue rivendicazioni. Per protestare con la scarsezza
della paga, un gruppo di ufficiali si ammutina senza successo, sotto la guida del
generale Roberto Viaux (1917-2006), conosciuto per le sue idee di estrema
destra. Da parte loro, i dipendenti del Ministero della Giustizia si mettono in
sciopero per reclamare un aumento di salario. Al contrario, l’oligarchia fondiaria,
i capi delle imprese, gli artigiani ed i membri delle classi medie si risentono per i
miglioramenti delle condizioni di vita delle classi popolari che, a loro giudizio,
minacciano l’equilibrio sociale.
Una parte della destra vede nelle riforme della DC non un insieme di opportuni
aggiustamenti, indispensabili per la modernizzazione del paese, ma solo una porta
aperta a dei cambiamenti di orientazione comunista. I capi del Partito Nazionale
sono i primi a lanciare la necessità di ”governi forti”. Dal lato opposto, per una
fetta non irrilevante del partito socialista, per militanti del Movimento della
sinistra rivoluzionaria (il MIR, un movimento guevarista di estrema sinistra) o per
altri provenienti dai margini della DC, tutti affascinati dall’esperienza cubana, é
già arrivato il momento per preparare la rivoluzione.
Una democrazia come “specchio per l’allodole”
La segmentazione della società cilena in tre sotto-culture politiche rivali, ogni
giorno sempre meno disposte a negoziare, deriva dai suoi rapporti largamente
ambigui circa le loro vere intenzioni nei riguardi dei processi democratici. E
tuttavia, a differenza di quasi tutti gli altri paesi latino-americani, il Cile ha
beneficiato sin dal 1925 di una Costituzione di ispirazione democratica e liberale
e, a partire dagli anni 1930, di una regolare successione di governi derivati da
libere elezioni e di un sistema partitico stabile.
Tuttavia, questa democrazia è servita più a regolare i conflitti sociopolitici che a
costruire un vero legame sociale fra individui considerati come uguali. In tal
modo, dal 1948 al 1958, il sistema politico cileno ha proscritto il Partito
comunista cileno ed ha imprigionato i suoi dirigenti. Sarà solamente negli anni
1960 che il suffragio diventa veramente universale, a seguito di due riforme
elettorali. La prima nel 1952, aveva reso l’iscrizione sulle liste elettorali ed il
voto obbligatorio, moltiplicando il numero degli elettori (4). La seconda, nel 1964,
sopprime la clausola che escludeva gli analfabeti dal corpo elettorale. Ma la
concezione oligarchica della vita politica nazionale rimane molto tenace.
Il funzionamento del potere non aiuto a risolvere la situazione. Esso lascia un
ruolo capitale ai partiti del centro in un gioco fatto di sottili negoziati fra reti di
notabili, che consiste nel mantenere il più possibile gli elettori a distanza. La sua
più perfetta rappresentazione è il suo modo di elezione presidenziale a scrutinio
a turno unico: se nessuno ottiene la maggioranza, a quel punto sono i senatori
decidono.
Questo modello oligarchico è egualmente legato ad una rappresentazione molto
gerarchica dell’ordine sociale: le aristocrazie fondiarie, industriali o
commercianti, come anche le classi medie, vivono in un mondo ermeticamente
separato dal proletariato urbano, emigranti rurali – raggruppati in maggioranza in
zone di abitazioni precarie, le Poblaciones -, minatori o piccoli contadini.
L’espressione che ha per lungo tempo designato queste classi popolari, “los rotos”
(gli straccioni), dice bene quale era il loro stato.
Parallelamente, per molti dei fautori della sinistra, dai comunisti ai socialisti,
passando per i guevaristi del MIR, la democrazia rimane percepita come il velo
degli interessi della borghesia da essere sostituita dalla rivoluzione. Il suo solo
valore è quello di permettere qualche miglioramento sociale ed una consolidazione
progressiva dei partiti e delle organizzazioni di massa che dovranno, a termine,
creare un nuovo tipo di stato sostenuto dalla classi popolari. In poche parole, il
Cile mantiene un rapporto molto “strumentale” con la democrazia.
Allende, un presidente senza maggioranza
L’Unità popolare (UP), creata nel 1969, costituisce una alleanza dei partiti della
sinistra sostenuta dai sindacati. Essa riunisce il PC cileno, il Partito socialista, il
Movimento d’azione popolare unitario (dissidenti di sinistra della DC), il Partito
Radicale e, infine, due piccoli partiti di centro sinistra (il Partito
Socialdemocratico e l’Azione Popolare indipendente). Sarà questa l’alleanza che
porterà Salvador Allende al potere nel 1970.
La maniera di scrutinio uninominale ad un solo turno non consente ad alcun
candidato di vincere: Allende ottiene il 36,3% dei voti, Jorge Alessandri
Rodriguez (1896-1986), il candidato della destra, il 34,9% e Rodomiro Tomic
(1914-1992), quello della DC, il 27,8%. Secondo la Costituzione, spetta a quel
punto ai Senatori designare il presidente. Dopo aver richiesto alla sinistra di
votare con loro un emendamento alla Costituzione nel quale i governi dovranno
rispettare il pluralismo politico, le libertà sindacali, di insegnamento, della
stampa e dell’indipendenza dell’università e delle forze armate, i senatori
democratico-cristiani si allineano con quelli della sinistra per eleggere Allende.
E’ in questo contesto che gli USA tentano di fomentare un golpe per impedire
l’entrata in funzione di Allende. Davanti al rifiuto dell’alto comando militare di
prestarsi a questa manovra, un piccolo gruppo di estrema destra tenta di
sequestrare il comandante in capo delle forze armate, il generale René
Schneider Chereaau (1913-1970). L’operazione fallisce (il generale viene ferito a
morte) e contribuisce a dare un surplus di legittimità all’elezione. Ma l’idea
rimane nell’aria: un golpe può avere l’approvazione degli USA.
Per i tre anni della durata del governo, Allende, il suo partigiani all’interno del
Partito Socialista ed i suoi alleati comunisti mostrano la più stretta
preoccupazione nel rispettare il quadro legale della democrazia formale. Le
elezioni intermedie si svolgono senza problemi maggiori ed il pluralismo sembra
essere rispettato. Alle elezioni municipali di aprile 1971, l’UP ottiene il 49,8% dei
suffragi. La progressione dell’alleanza governativa risulta notevole, ma non si è
prodotta l’ondata di marea sperata e la delusione è grande.
E poi, Allende ed i suoi alleati, sospinti da una supposta “maggioranza morale”,
danno molto meno attenzione allo “spirito di conciliazione” che aveva regnato nel
corso dei precedenti decenni. Se certe grandi riforme – come la
nazionalizzazione del rame – vengono votate all’unanimità o dopo duri negoziati
nel Parlamento, altre (5) – come gli aumenti salariali, la nazionalizzazione del
carbone, della siderurgia, di una parte del settore dei trasporti e delle banche –
vengono fatte grazie al sistema dei decreti presidenziali, istituiti negli anni 1930.
Allende col passare del tempo viene a trovarsi in una situazione sempre più
precaria, tanto più che, da parte loro, i parlamentari della destra ed una parte di
quelli della DC non si accontentano più di limitare l’azione del governo, ma
vogliono, in un certo modo, paralizzarlo. Essi ricorrono si alle astuzie del gioco
parlamentare sia ai tribunali davanti alle trovate della sinistra ed all’utilizzo
allegro del sistema dei decreti presidenziali.
Molto rapidamente, questi conflitti danno luogo a dimostrazioni di forza a favore
o contro la politica governativa. Nel sud del paese, i dibattiti sull’accelerazione
della riforma agraria si svolgono sullo sfondo della mobilitazione contadina
(appoggiata dal MIR) alla quale fanno scudo i proprietari espropriati sostenuti
dai movimenti di estrema destra Patria y Libertad.
Le difficoltà economiche non aiutano a migliorare la situazione. Il primo anno, la
politica dei consumi rilancia la crescita, ma ha delle conseguenze drammatiche a
partire dalla fine dell’anno 1971: l’inflazione; l’aumento dei prezzi; la penuria di
beni di consumo corrente come l’olio, la carne, lo zucchero, il sapone; sviluppo
parallelo di un mercato nero; deterioramento della bilancia dei pagamenti;
insolvibilità crescente del paese sui mercati internazionali. Questa situazione di
inflazione e di penuria non dipende solamente dai gravi errori di gestione dell’UP.
Essa deriva anche dagli effetti combinati della bassa valutazione del corso del
rame sui mercati internazionali, degli appelli al boicottaggio del Cile lanciati dagli
USA e della strategia di sabotaggio economico da parte di tutta una parte della
classe imprenditoriale cilena. Alcuni smettono di investire mentre altri speculano
sulla penuria di determinati beni di consumo.
La sinistra divisa
Lo sciopero dei camionisti dell’ottobre 1972 segna il punto di svolta della
strategia di ostruzione della destra. L’obiettivo del partito nazionale è quello di
provocare la caduta di Allende con tutti i mezzi legali disponibili. In effetti, in un
paese lungo circa 4.300 chilometri da nord a sud e largo solamente 180
chilometri di media, l’ostruzione della “strada” paralizza totalmente il paese ed il
Partito Nazionale si trova alleati alla sua politica anche le classi medie rese
sempre più inquiete dalla politica governativa. Nel giro di qualche settimana
anche i commercianti ed i medici entrano in sciopero. Per quanto riguarda i
trasportatori, radicalizzati dalle misure di requisizione lanciate dal governo,
giocano la carta del tanto peggio tanto meglio (lo sciopero dura tre settimane)
dal momento che possono beneficiare di un appoggio finanziario occulto da parte
di servizi “esteri”. Un po’ dappertutto si assiste ad un crescere della violenza.
Inizialmente le manifestazioni delle donne che brandiscono delle casseruole
vuote, quindi scontri per le vie di Santiago, attacchi alle abitazioni dei ministri da
parte dell’estrema destra o l’assassinio di sottufficiali dei carabinieri a
Conception. Le tensioni vengono esacerbate dalla visita di Fidel Castro, il cui
prolungamento, per iniziativa del cubano, viene vissuta come una provocazione da
parte della destra.
Nel novembre 1972, Allende costituisce un nuovo governo con dei ministri
provenienti dall’esercito, fra i quali i comandante in capo, il generale Carlos
Prats Gonzales (1915-1974), diventa Ministro degli Interni. Questo permette di
mettere fine allo sciopero che immobilizza il paese. Ma l’UP non cessa di perdere
terreno di fronte alla DC ed al Partito nazionale e mentre questi ultimi si
uniscono per dare un carattere plebiscitario alle elezioni legislative del marzo
1973, la sinistra vede affermarsi u crescendo di divisioni al suo interno.
La volontà di Allende e dei comunisti di giungere ad una accordo con la DC sulla
questione delle nazionalizzazioni viene contrastata da Carlos Altamirano Orrego
(1922-2019), segretario del PS, i militanti del Movimento d’Azione Popolare
Unitario (il MAPU, formato da cristiani radicali) e quelli del MIR. Un po’ ovunque,
militanti e simpatizzanti di estrema sinistra formano dei coordinamenti, “cordoni
comunali” o “cordoni industriali” al fine di spingere il governo non solo a resistere
alle pressioni della destra ma anche ad “avanzare senza transigere”.
Queste divisioni si mettono di traverso ai tentativi di conciliazione di Allende e
soprattutto minano la sua autorità agli occhi dei democratici cristiani e dei
militari. Anzi, esse accreditano l’idea, da entrambi i lati, che solo una soluzione di
forza consentirebbe di uscire da una situazione di crisi politica ed economica.
Golpe inevitabile ?
Il risultato delle elezioni legislative del marzo 1973 accentua ancora le tensioni.
La sinistra ottiene il 43,9% dei suffragi, ovvero 6 punti di meno di quello delle
municipali del 1971. Questo risultato non consente alla DC, sempre esitante, di
allearsi chiaramente alla destra e di ottenere la maggioranza dei due terzi
necessaria alla destituzione legale di Allende da parte del Congresso.
Da quel momento, la destra, che non aveva disarmato, lavora per avvicinare alle
sue idee golpiste la DC ed i settori popolari, ma anche le forze armate, quindi,
progressivamente, la maggioranza della società che aspira all’ordine.
Nell’aprile 1973, i minatori d’El Teniente, una delle più grandi miniere di rame nel
nord del paese, si lanciano in uno sciopero, per reclamare degli aumenti salariali,
che durerà 78 giorni. Essi vengono accolti come eroi dagli studenti di diritto
dell’Università cattolica di Santiago. Per la prima volta, la destra riesce ad avere
l’appoggio di settori operai contro l’UP ed il 29 giugno, il 2° reggimento blindato
di Santiago (il tancazo) si solleva, non seguito però dagli altri reggimenti della
capitale. Questo tentativo di golpe fallisce non solo perché il generale Prats
prende la direzione della controffensiva, ma perché, come lo ha scritto nelle sue
Memorie, “i cospiratori più importanti hanno preferito attendere un'altra
opportunità ! ”
Il golpe mancato mette però in evidenza l’incapacità della sinistra di far fronte
ad un colpo di forza senza l’aiuto delle forze armate. In effetti, l’esercito è
diventato un corpo deliberante: un numero sempre maggiore di ufficiali superiori
complottano apertamente, appoggiandosi a frange dei partiti della destra e della
stessa DC. Prats si preoccupa di evitare una crisi nell’ambito delle forze armate
ma viene accusato dai suoi pari grado di “portare le forza armate al compromesso
con il marxismo”. Il 23 agosto 1973, all’indomani di una manifestazione umiliante,
di mogli di ufficiali generali che l’insultano pubblicamente davanti al suo domicilio,
egli rimette il suo mandato ad Allende, che lo sostituisce con Augusto Pinochet. I
membri dell’esercito hanno buon gioco a schierarsi dalla parte dei cospiratori.
Dopo un ultimo fallimento di colloqui fra il Presidente e la DC, che richiede la
nomina di un nuovo governo, dove tutte i posti chiave dovranno essere affidati a
dei militari, i parlamentari dichiarano “l’illegalità del governo”.
L’11 settembre, mentre Allende si appresta ad indire un plebiscito per mettere
fine alla crisi che rende il paese ingovernabile, i golpisti, che qualche giorno prima
hanno avuto l’adesione di Pinochet al loro progetto, decidono di prendere il
potere. I politici della DC e della destra, che avevano pensato che i militari, dopo
un breve periodo di riordino, si sarebbero ritirati dalla scena politica e li
avrebbero incaricati di indire nuove elezioni, dovranno attendere il 1989 per
poter ritrovare un vero ruolo politico attivo.
Quaranta anni dopo la sua tragica fine, l’esperienza di Allende invita a ripensare
con una nuova prospettiva le utopie politiche della sinistra latino americana
dell’epoca. Come prendere sul serio la volontà espressa di “costruire il
socialismo”, affermando nel contempo la volontà, desiderata da Allende, di
“difendere la democrazia, il pluralismo e la libertà” ?
Come coniugare le idee per niente incompatibili di libertà e di uguaglianza ?
Allende ed i suoi assistenti hanno avuto questo progetto, basandosi ciecamente
sulla forza della loro presunta “maggioranza morale” e sulle logiche burocratiche.
I massimalisti del PS, del MAPU e del MIR, però, non hanno praticamente mai
avuto queste idee, a meno di interessi tattici a brevissimo termine ed hanno
sempre puntato alla rivoluzione come obiettivo finale della loro azione. Se i loro
eccessi e le loro dimostrazioni di forza non possono rappresentare una
giustificazione in favore del golpe militare, appare, comunque, assolutamente
necessario porsi numerosi interrogativi sulla natura e le conseguenze della loro
evidente ambiguità e del loro accecamento sulla questione della democrazia.
NOTE
(1) Il padre del vecchio presidente del Cile dal 2006 al 2010, Michelle Bachelet;
(2) Bando n. 5 riprodotto in C. Garreton Merino, “Par la fuerza sin la razon”,
LOM Ediciones, 1998, Santiago del Cile;
(3) Garreton Manuel Antonio, “El proceso politico chileno”, Flasco, Santiago del
Cile, 1983;
(4) Moulian Tomas, “Fracturas”, LOM Ediciones, Santiago del Cile, 2006;
(5) Espropriazione del controllo di circa 300 imprese in situazione di monopolio
(carbone, siderurgia, trasporti e banche) che dovevano servire di base alla
costituzione di area di proprietà sociale; prosieguo della riforma agraria
cominciata con Eduardo Frei Montalva (1911-1982) (espropriazione di 3 mila
grandi proprietà giudicate mal sfruttate e conseguente ridistribuzione a
contadini riuniti in cooperative); forti aumenti salariali per rilanciare l’economia
con un aumento dei consumi delle classe popolari); ambiziosi programmi di sanità
pubblica, alloggi e di educazione; apertura di relazioni diplomatiche con i paesi
del blocco socialista.