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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

Dal VESCOVO di ROMA alla SANTA SEDE

Dal VESCOVO di ROMA alla SANTA SEDE

 

Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffiti-online.

com), del mese di marzo 2020, con il titolo “LA CHIESA DALLE

PERSECUZIONI AL PAPATO”

http://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=1924

 

I primi secoli del Papato, nei quali il potere dei vescovi di Roma consolida

una lenta maturazione, prima del Medioevo; dalle persecuzioni al

riconoscimento ufficiale, quindi all’ombra del potere imperiale.

l Papato costituisce una singolare istituzione: un potere sovrano eletto (non

ereditario come lo sono state molte monarchie fino all’epoca moderna), una

monarchia spirituale, che ha segnato, forse più delle altre, l’epoca

medievale, che è preesistita a tutte le monarchie moderne ed a tutti gli imperi

medievali e che ha finito per sopravvivere a tutte. Tuttavia, all’inizio, non si

trattava del “Papato” o della “Sede Apostolica”, così come lo intendiamo oggi

(quest’ultimo termine appare nelle fonti solamente nel 4° secolo) e per vederci

più chiaro occorre risalire agli ultimi secoli dell’Impero Romano.

Il prestigio di Pietro

La storia del vescovo di Roma è indissociabilmente legata a quello degli Apostoli

Pietro e Paolo ed ai primi tempi del Cristianesimo. Si sa che il Cristianesimo aveva

raggiunto la capitale sotto il regno dell’imperatore Claudio (intorno agli anni 40).

I due apostoli ebbero probabilmente una attività pastorale intensa durante gli

anni che essi hanno trascorso a Roma ed il loro ricordo rimane indelebile dopo il

loro martirio, occorso presumibilmente negli anni 60, dopo l’incendio di Roma

sotto il regno di Tiberio Claudio Nerone (-85 / -33) e che dà il via alle prime

persecuzioni contro i Cristiani. Essi sono stati considerati in seguito come le “due

colonne più importanti” della chiesa cristiana, aprendo la via agli altri martiri. In

tale contesto, il ricordo di Pietro, considerato nella chiesa come il primo degli

apostoli, quello al quale Gesù avrebbe affidato l’incarico di costruire la sua

Chiesa, rimane più vivido di quello di Paolo. Anche se i due uomini non hanno

fondato in senso stretto la Chiesa romana, la tradizione attribuisce a Pietro la

funzione di primo vescovo di Roma. Il nome dei suoi successori è conosciuto,

sebbene le liste dei papi siano state compilate “a posteriori” nel 4° secolo. Lino

(morto nell’anno 76), Anacleto o Cleto (morto nell’anno 92), Clemente (morto

nell’anno 100), Evaristo (morto nell’anno 108) e molti dei loro eredi sarebbero

morti come martiri della fede, anche se i fatti che li riguardano non sono stati

storicamente provati.

Occorre guardare, in ogni caso, allo spirito della chiesa di Roma che, sebbene

aureolata (nimbata) di un certo prestigio a partire dal 2° secolo, a questa epoca

risulta appena un vescovado fra tanti altri: in effetti, altri vescovati, come

Alessandria, Antiochia, Efeso o Corinto sarebbero stati fondati ben presto dagli

altri apostoli ed hanno conosciuto un notevole sviluppo. D’altronde, il “primato”

romano porrà ben presto seri problemi alle altre sedi episcopali, che vedono

spesso le sue pretese con una certa inquietudine. In questi primi tempi del

Cristianesimo, vengono a capo divergenze dottrinali e le comunità si disputano fra

di loro su uno sfondo di persecuzioni sempre più frequenti.

Un’autorità in gestazione

Mentre le dottrine tendono a divergere e le dispute di successione episcopali

mettono a mal partito l’unità del Cristianesimo nascente, i vescovi di Roma

rivendicano una autorità superiore agli altri (la pietra sulla quale Gesù Cristo ha

fondato la sua Chiesa) e propugnano l’unità della fede. Una disputa fra i vescovi

Stefano di Roma (254-257) e Tascio Cecilio Cipriano di Cartagine (210-258)

mette bene in risalto il malessere che pervade il 3° secolo fra le diverse

comunità cristiane. Nella disputa che li oppone sulla questione della

reintegrazione dei cristiani apostati (1) e sull’atteggiamento da tenere di fronte

alle persecuzioni, Cipriano è convinto che “ogni vescovo ha la libertà di

amministrazione della sua chiesa” e che “nessuno – tra i vescovi – può costituirsi

in vescovo dei vescovi”. A questa tesi risponde il vescovo Stefano ribadendo che

la tradizione romana deve applicarsi a tutti. La polemica trascina la Cristianità in

un vivo dibattito, che deve la sua archiviazione solamente al martirio dei due

vescovi coinvolti. Alla fine, sarà un arbitrato dell’imperatore Aureliano (214-

275), sotto il quale le libertà di culto vengono ridotte, che porterà un

riconoscimento esteriore al vescovo di Roma, considerato come primate della

Chiesa d’Italia.

L’impulso constantiniano

Tutto cambia dopo la vittoria al Ponte Milvio, nell’anno 312, di Flavio Valerio

Aurelio Constantino (274-337) o Constantino il Grande su Marco Aurelio

Valerio Massenzio (278-312), vittoria che l’imperatore attribuisce ad un

intervento del Dio dei cristiani in suo favore. Costantino fa promulgare, nel 313,

l’importante Editto di Tolleranza di Milano, che accorda la libertà di culto a

tutte le religioni e permette ai Cristiani di non continuare ad adorare

l’imperatore come un dio. Le chiese occidentali, quindi orientali, vengono

riconosciute e si vedono accordare diritti e doni importanti (pubblici e privati),

dei quali beneficia, in primo luogo, il vescovo di Roma. Parallelamente, per ragioni

politiche e strategiche, l’imperatore stabilisce a Treviri la sua capitale, che

“libera” Roma dall’influenza imperiale. I Cristiani possono ormai riunirsi in un solo

luogo per il loro culto, la basilica del Laterano, costruita sotto il regno di

Constantino. Vengono anche organizzate le necropoli alle porte della città e non

più nel sottosuolo e si moltiplicano i santuari dedicati ai martiri. Le prime feste

sante, probabilmente stabilite anteriormente, vengono ormai celebrate alla luce

del giorno.

La presa di posizione dell’imperatore negli affari della chiesa favorisce lo statuto

privilegiato del vescovo di Roma. Costantino, fautore dell’unità della Fede,

organizza e presiede dei concili per risolvere il problema delle “eresie” che

dilaniano l’Oriente, specialmente l’Arianesimo (2). I canoni conciliari di Arles nel

314 o di Nicea del 325 (durante il quale viene adottato il Credo, confessione di

fede che da allora tutti i Cristiani devono professare), confermano l’autorità di

Roma sugli altri vescovadi, specialmente in Gallia, che gli viene assoggettata di

fatto. L’imperatore invia a più riprese i vescovi Stefano e Marco di Calabria o

Marcus metropolitanus, per arbitrare dispute che concernono altre chiese, ad

esempio in Africa.

Questo ruolo di giudice tende ad imporsi nel corso delle discussioni che

oppongono i vescovi agli Ariani, che ritornano nelle grazie del potere imperiale

negli anni 335-337. La grave crisi che oppone il vescovo Atanasio di Alessandria

(295-373; che durerà più di 30 anni e porterà Atanasio a diversi periodi di esilio

ed anche alla persecuzione da parte dei suoi fautori), al quale si affianca il

vescovo romano Giulio (papa Giulio 1° morto nell’anno 352), agli Ariani divide

profondamente la Cristianità fra occidentali ed orientali, dando inizio ad una

irrimediabile frattura. Alcuni Concili successivi sconfessano, a loro volta, il Credo

di Nicea e portano le chiese orientali ed occidentali a scomunicarsi

reciprocamente nel 343, a Sardico. Questo evento non è altro che il precedente

di una lunga serie di malintesi che scava un solco profondo fra le due comunità,

opposte dal punto di vista dottrinale e politico. Esso conferma, in ogni caso, una

posizione di preminenza del vescovo romano.

Questa autorità viene, tuttavia, messa in discussione dai successori di

Constantino, in particolare da Constantino 2° (317-340; imperatore dal 337), da

Costante 1° (320-350; imperatore dal 337) e da Flavio Giulio Costanzo 2° (317-

361; imperatore dal 337) le cui mire cesaropapiste (3), a volte favorevoli

all’Arianesimo, obbligano i vari vescovi a sottomettersi. Un mezzo secolo di pace

non servirà a diminuire gli odi fra i Cristiani (avendoli persino rinfocolati) e

metterà in evidenza le difficoltà di trovare un accomodamento fra la Chiesa ed il

concetto stesso di Impero cristiano nascente. In tale contesto, si deve comunque

stabilire a chi spetta l’autorità suprema: al vescovo di Roma, la cui autorità è

ancora mal digerita dai suoi correligionari orientali, oppure all’imperatore, in un

contesto nel quale l’impero è nuovamente e durevolmente diviso ?

Il 4° e 5° secolo saranno in tale prospettiva l’occasione per il Papato per

accumulare tradizione ed esperienza di cui beneficeranno, 5 - 6 secoli più tardi, i

papi di fronte ai sovrani temporali.

Affermazione del Papato e formazione della Roma Cristiana

L’episcopato di Damaso 1° (366-384) segna un nuovo impulso nello sviluppo della

Sede Apostolica: il vescovo ottiene dall’imperatore Valentiniano (321-375;

imperatore dal 364) il monopolio sugli arbitrati religiosi e che tutti gli affari

religiosi che possano provocare un litigio siano sottomessi al vescovo di Roma. I

Concili di Roma (369) e di Antiochia (378) confermano la legittimità di un

vescovo, se questi viene riconosciuto come papa di Roma. L’ottima organizzazione

della pastorale, come la politica autonoma di costruzione di chiese nella Capitale

dell’Impero permettono alla chiesa di Roma di imporsi definitivamente come un

riferimento. Damaso istituisce la tradizione di una riunione conciliare annuale a

Roma, alla quale invita tutti i prelati italiani. Se taluni fra di loro, godono ancora

di una autorità incontestata (come Ambrogio da Milano), nessuno in Occidente

rimette più in causa l’autorità romana. I successori di Damaso 1°, Sirico (384-

399), Innocenzo 1° (401-417), come anche Sisto 3° (432-440), quindi Leone 1°

(440-461) completano questa impresa. Il Papato si dota di una cancelleria, di

legisti che compilano gli atti ed iniziano ad elaborare quello che costituirà la base

del diritto canonico (atti conciliari, tradizione, lettere, opere dei Padri della

Chiesa ed autorità …) e la più importante biblioteca d’Occidente.

In città, l’iconografia, nelle chiese, riflette questo trionfo ed illustra il Credo. I

credenti possono ammirare il Cristo circondato da Pietro (raffigurato più di tutti

gli altri) e Paolo e spesso da altri apostoli. La chiesa romana risulta in una

posizione di forza, evangelizzatrice, che invia dei missionari in terra pagana, in

Gallia e persino nelle isole britanniche e che lotta contro le nuove eresie: il

pelagianesimo (4), il priscillanesimo (5), il monofisismo (6) o il manicheismo (7).

Mentre l’Africa risulta ripiegata su se stessa, in Oriente si impone

progressivamente, all’ombra degli imperatori, la sede di Costantinopoli, di fronte

alle divisioni regionali.

Lo sforzo di Roma per pesare nella politica occidentale è tanto più rilevante, dal

momento che il contesto, a partire dagli inizi del 5° secolo, è molto difficile. Le

prime ondate di “invasioni” (i Visigoti, alleati massicciamente alle tesi ariane, si

stabiliscono in Aquitania, i Franchi e gli Alamanni pagani si agitano sulle frontiere

nord est ed i Vandali conquistano Cartagine nel 439) determinano lo

spezzettamento dell’Impero. La sicurezza di Roma diventa una sfida

fondamentale, soprattutto dopo il sacco di Roma, perpetrato da Alarico (370-

410) nel 410. Nel 452, papa Leone 1° riesce a negoziare la ritirata di Attila e ad

evitare nuovi saccheggi. Egli però fallirà nella stessa impresa davanti a Genserico

(390-477), che metterà Roma a sacco per due settimane, nel 455. Per diritto

(che si elabora a questa epoca) e di fatto, il vescovo di Roma è diventato il capo

della Chiesa ed anche il suo difensore. Il trionfo dottrinale e politico di Leone 1°

in occasione del Concilio di Calcedonia (451) è stato totale. Durante il suo

svolgimento l’assemblea avrebbe gridato “E’ Pietro che parla per bocca di Leone”.

Nei fatti, il Concilio di Calcedonia, segna in qualche modo la rottura con la Chiesa

d’Oriente, ma soprattutto con il Patriarcato di Costantinopoli, tenuto conto che

con l’espansione dei Mussulmani gli altri Patriarcati d’Oriente (Antiochia,

Gerusalemme ed Alessandria d’Egitto) perderanno rapidamente la loro funzione

politico religiosa.

La caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 non determina alcuna

modifica per il Papato. Al contrario, i nuovi sovrani germanici vedono

nell’amministrazione romana, episcopale o laica, un formidabile strumento per

consolidare il loro potere nella continuità della storia. Il papa (termine che

comincia a comparire negli atti ufficiali solo a partire dal 6° secolo) deve

occuparsi soprattutto di divergenze dottrinali che l’oppongono al patriarca di

Costantinopoli ed, in tale contesto, papa Felice 3° della gens Anicia (morto

nell’anno 492) ed il patriarca Acacio (morto nell’anno 479) si scomunicano di

nuovo reciprocamente, aprendo uno scisma di 35 anni (484-519). Mentre in

Oriente l’imperatore si immischia apertamente negli affari della Chiesa, il papa

Felice 3°, quindi il papa Gelasio 1° (morto nell’anno 496) si prendono cura di

iniziare una riflessione sulla separazione della chiesa e del potere reale, anche

quando questo è cristiano. Il nipote di Felice 3°, Gregorio 1° (detto Magno, 590-

604) simbolizza questa autonomia guadagnata dal potere papale sui principi laici.

Unico sovrano residente a Roma, dopo che la capitale politica è stata spostata a

Ravenna, il papa ne è il difensore e Gregorio esercita un regno energico,

economico (finanzia la difesa di Roma e l’approvvigionamento di grano) e

diplomatico. In definitiva, per il periodo successivo, il papa rimane a Roma a

lottare contro le invasioni longobarde, le velleità di riconquista bizantina (che

riconquistano l’Italia e Roma dal regno di Giustiniano; 482-565) e le ricorrenti

epidemie di peste.

La fine del 6° secolo segna un momento di transizione per il Papato. Esso, dopo

aver acquisito in Occidente una indipendenza ed un prestigio manifesti, per le sue

lotte contro le eresie e per la stabilità dell’Italia, ora deve far fronte a nuove

sfide. Quello dell’evangelizzazione dell’ovest dell’Europa, che passa attraverso lo

sviluppo del monachesimo e di una nuova riflessione sulla fede, sulla pratica

liturgica ed il ruolo dei preti. Ma anche su quello dell’atteggiamento da assumere

di fronte alle pretese dei re, che vogliono nominare i vescovi nei loro regni ed

affrancarsi dall’autorità di Roma, spesso lontana e non in sintonia con le loro

preoccupazioni culturali. La Chiesa universale, sotto l’autorità del papa, vuole,

invece, imporsi su quella secolare. Tuttavia i secoli seguenti saranno marcati da

numerosi e corti regni e la presenza del potere bizantino in Italia renderà molto

difficile l’esercizio del potere papale romano.

NOTA

(1) Cristiani che hanno pubblicamente rinunciato alla loro religione;

(2) Dottrina predicata dal prete Ario, secondo la quale il Cristo è una creatura

subordinata al Padre. Il Credo del Concilio di Nicea, del 325, condanna tale

dottrina;

(3) Cesaropapismo: sistema politico nel quale l’imperatore pretende di esercitare

un potere assoluto nel dominio spirituale e temporale;

(4) Dottrina propugnata dal monaco inglese Pelagio, che contesta il peccato

originale. Per Pelagio il peccato originale fu dei soli progenitori, non dei

discendenti, ma non macchiò la natura umana, ma che ne subì certamente solo le

conseguenze. Dottrina che insiste anche sul libero arbitrio dell’uomo nella sua

liberazione dal peccato. Condannata dal concilio di Efeso;

(5) Dottrina rigorista di tipo agnostico-manicheo, antitrinitaria, che fa capo al

vescovo spagnolo Priscilliano di Avila. Dottrina che dà spazio al determinismo

astrologico ed all’insegnamento delle donne. che negava la resurrezione della

carne, attribuiva la creazione dei corpi al demonio e predicava la separazione

netta tra bene e male e la necessità di praticare l'ascesi. Condannata dal Concilio

di Toledo del 400 e da quello di Braga del 563;

(6) monofisismo (dal greco monos, «unico», e physis, «natura») è il termine usato

nella teologia cattolica e nella storiografia occidentale per indicare la forma di

cristologia, elaborata nel V secolo dall'archimandrita greco Eutiche, secondo la

quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina e dunque in lui era

presente solo la natura divina. Dottrina condannata nel Concilio di Calcedonia del

451;

(7) Religione fondata in Persia da Mani nel 3° sec. d.C. Il manicheismo concepiva

tutto l'esistente come espressione di una lotta perenne tra due principi opposti

(dualismo manicheo): il bene, la luce, lo spirito, Dio, in contrasto con il male, le

tenebre, la materia, lo spirito demoniaco, Satana. In sostanza una Dottrina che

ha come principio fondamentale la divisione del mondo in due entità, la Luce (il

Bene) e le Tenebre (il Male) che sussistono nell’uomo in maniera intrinseca.

Giunta nell’impero romano nel 4° secolo, tale dottrina seduce la gente per

determinati suoi riti e simboli, vicini al Cristianesimo.

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