Dal VESCOVO di ROMA alla SANTA SEDE
Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffiti-online.
com), del mese di marzo 2020, con il titolo “LA CHIESA DALLE
PERSECUZIONI AL PAPATO”
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I primi secoli del Papato, nei quali il potere dei vescovi di Roma consolida
una lenta maturazione, prima del Medioevo; dalle persecuzioni al
riconoscimento ufficiale, quindi all’ombra del potere imperiale.
l Papato costituisce una singolare istituzione: un potere sovrano eletto (non
ereditario come lo sono state molte monarchie fino all’epoca moderna), una
monarchia spirituale, che ha segnato, forse più delle altre, l’epoca
medievale, che è preesistita a tutte le monarchie moderne ed a tutti gli imperi
medievali e che ha finito per sopravvivere a tutte. Tuttavia, all’inizio, non si
trattava del “Papato” o della “Sede Apostolica”, così come lo intendiamo oggi
(quest’ultimo termine appare nelle fonti solamente nel 4° secolo) e per vederci
più chiaro occorre risalire agli ultimi secoli dell’Impero Romano.
Il prestigio di Pietro
La storia del vescovo di Roma è indissociabilmente legata a quello degli Apostoli
Pietro e Paolo ed ai primi tempi del Cristianesimo. Si sa che il Cristianesimo aveva
raggiunto la capitale sotto il regno dell’imperatore Claudio (intorno agli anni 40).
I due apostoli ebbero probabilmente una attività pastorale intensa durante gli
anni che essi hanno trascorso a Roma ed il loro ricordo rimane indelebile dopo il
loro martirio, occorso presumibilmente negli anni 60, dopo l’incendio di Roma
sotto il regno di Tiberio Claudio Nerone (-85 / -33) e che dà il via alle prime
persecuzioni contro i Cristiani. Essi sono stati considerati in seguito come le “due
colonne più importanti” della chiesa cristiana, aprendo la via agli altri martiri. In
tale contesto, il ricordo di Pietro, considerato nella chiesa come il primo degli
apostoli, quello al quale Gesù avrebbe affidato l’incarico di costruire la sua
Chiesa, rimane più vivido di quello di Paolo. Anche se i due uomini non hanno
fondato in senso stretto la Chiesa romana, la tradizione attribuisce a Pietro la
funzione di primo vescovo di Roma. Il nome dei suoi successori è conosciuto,
sebbene le liste dei papi siano state compilate “a posteriori” nel 4° secolo. Lino
(morto nell’anno 76), Anacleto o Cleto (morto nell’anno 92), Clemente (morto
nell’anno 100), Evaristo (morto nell’anno 108) e molti dei loro eredi sarebbero
morti come martiri della fede, anche se i fatti che li riguardano non sono stati
storicamente provati.
Occorre guardare, in ogni caso, allo spirito della chiesa di Roma che, sebbene
aureolata (nimbata) di un certo prestigio a partire dal 2° secolo, a questa epoca
risulta appena un vescovado fra tanti altri: in effetti, altri vescovati, come
Alessandria, Antiochia, Efeso o Corinto sarebbero stati fondati ben presto dagli
altri apostoli ed hanno conosciuto un notevole sviluppo. D’altronde, il “primato”
romano porrà ben presto seri problemi alle altre sedi episcopali, che vedono
spesso le sue pretese con una certa inquietudine. In questi primi tempi del
Cristianesimo, vengono a capo divergenze dottrinali e le comunità si disputano fra
di loro su uno sfondo di persecuzioni sempre più frequenti.
Un’autorità in gestazione
Mentre le dottrine tendono a divergere e le dispute di successione episcopali
mettono a mal partito l’unità del Cristianesimo nascente, i vescovi di Roma
rivendicano una autorità superiore agli altri (la pietra sulla quale Gesù Cristo ha
fondato la sua Chiesa) e propugnano l’unità della fede. Una disputa fra i vescovi
Stefano di Roma (254-257) e Tascio Cecilio Cipriano di Cartagine (210-258)
mette bene in risalto il malessere che pervade il 3° secolo fra le diverse
comunità cristiane. Nella disputa che li oppone sulla questione della
reintegrazione dei cristiani apostati (1) e sull’atteggiamento da tenere di fronte
alle persecuzioni, Cipriano è convinto che “ogni vescovo ha la libertà di
amministrazione della sua chiesa” e che “nessuno – tra i vescovi – può costituirsi
in vescovo dei vescovi”. A questa tesi risponde il vescovo Stefano ribadendo che
la tradizione romana deve applicarsi a tutti. La polemica trascina la Cristianità in
un vivo dibattito, che deve la sua archiviazione solamente al martirio dei due
vescovi coinvolti. Alla fine, sarà un arbitrato dell’imperatore Aureliano (214-
275), sotto il quale le libertà di culto vengono ridotte, che porterà un
riconoscimento esteriore al vescovo di Roma, considerato come primate della
Chiesa d’Italia.
L’impulso constantiniano
Tutto cambia dopo la vittoria al Ponte Milvio, nell’anno 312, di Flavio Valerio
Aurelio Constantino (274-337) o Constantino il Grande su Marco Aurelio
Valerio Massenzio (278-312), vittoria che l’imperatore attribuisce ad un
intervento del Dio dei cristiani in suo favore. Costantino fa promulgare, nel 313,
l’importante Editto di Tolleranza di Milano, che accorda la libertà di culto a
tutte le religioni e permette ai Cristiani di non continuare ad adorare
l’imperatore come un dio. Le chiese occidentali, quindi orientali, vengono
riconosciute e si vedono accordare diritti e doni importanti (pubblici e privati),
dei quali beneficia, in primo luogo, il vescovo di Roma. Parallelamente, per ragioni
politiche e strategiche, l’imperatore stabilisce a Treviri la sua capitale, che
“libera” Roma dall’influenza imperiale. I Cristiani possono ormai riunirsi in un solo
luogo per il loro culto, la basilica del Laterano, costruita sotto il regno di
Constantino. Vengono anche organizzate le necropoli alle porte della città e non
più nel sottosuolo e si moltiplicano i santuari dedicati ai martiri. Le prime feste
sante, probabilmente stabilite anteriormente, vengono ormai celebrate alla luce
del giorno.
La presa di posizione dell’imperatore negli affari della chiesa favorisce lo statuto
privilegiato del vescovo di Roma. Costantino, fautore dell’unità della Fede,
organizza e presiede dei concili per risolvere il problema delle “eresie” che
dilaniano l’Oriente, specialmente l’Arianesimo (2). I canoni conciliari di Arles nel
314 o di Nicea del 325 (durante il quale viene adottato il Credo, confessione di
fede che da allora tutti i Cristiani devono professare), confermano l’autorità di
Roma sugli altri vescovadi, specialmente in Gallia, che gli viene assoggettata di
fatto. L’imperatore invia a più riprese i vescovi Stefano e Marco di Calabria o
Marcus metropolitanus, per arbitrare dispute che concernono altre chiese, ad
esempio in Africa.
Questo ruolo di giudice tende ad imporsi nel corso delle discussioni che
oppongono i vescovi agli Ariani, che ritornano nelle grazie del potere imperiale
negli anni 335-337. La grave crisi che oppone il vescovo Atanasio di Alessandria
(295-373; che durerà più di 30 anni e porterà Atanasio a diversi periodi di esilio
ed anche alla persecuzione da parte dei suoi fautori), al quale si affianca il
vescovo romano Giulio (papa Giulio 1° morto nell’anno 352), agli Ariani divide
profondamente la Cristianità fra occidentali ed orientali, dando inizio ad una
irrimediabile frattura. Alcuni Concili successivi sconfessano, a loro volta, il Credo
di Nicea e portano le chiese orientali ed occidentali a scomunicarsi
reciprocamente nel 343, a Sardico. Questo evento non è altro che il precedente
di una lunga serie di malintesi che scava un solco profondo fra le due comunità,
opposte dal punto di vista dottrinale e politico. Esso conferma, in ogni caso, una
posizione di preminenza del vescovo romano.
Questa autorità viene, tuttavia, messa in discussione dai successori di
Constantino, in particolare da Constantino 2° (317-340; imperatore dal 337), da
Costante 1° (320-350; imperatore dal 337) e da Flavio Giulio Costanzo 2° (317-
361; imperatore dal 337) le cui mire cesaropapiste (3), a volte favorevoli
all’Arianesimo, obbligano i vari vescovi a sottomettersi. Un mezzo secolo di pace
non servirà a diminuire gli odi fra i Cristiani (avendoli persino rinfocolati) e
metterà in evidenza le difficoltà di trovare un accomodamento fra la Chiesa ed il
concetto stesso di Impero cristiano nascente. In tale contesto, si deve comunque
stabilire a chi spetta l’autorità suprema: al vescovo di Roma, la cui autorità è
ancora mal digerita dai suoi correligionari orientali, oppure all’imperatore, in un
contesto nel quale l’impero è nuovamente e durevolmente diviso ?
Il 4° e 5° secolo saranno in tale prospettiva l’occasione per il Papato per
accumulare tradizione ed esperienza di cui beneficeranno, 5 - 6 secoli più tardi, i
papi di fronte ai sovrani temporali.
Affermazione del Papato e formazione della Roma Cristiana
L’episcopato di Damaso 1° (366-384) segna un nuovo impulso nello sviluppo della
Sede Apostolica: il vescovo ottiene dall’imperatore Valentiniano (321-375;
imperatore dal 364) il monopolio sugli arbitrati religiosi e che tutti gli affari
religiosi che possano provocare un litigio siano sottomessi al vescovo di Roma. I
Concili di Roma (369) e di Antiochia (378) confermano la legittimità di un
vescovo, se questi viene riconosciuto come papa di Roma. L’ottima organizzazione
della pastorale, come la politica autonoma di costruzione di chiese nella Capitale
dell’Impero permettono alla chiesa di Roma di imporsi definitivamente come un
riferimento. Damaso istituisce la tradizione di una riunione conciliare annuale a
Roma, alla quale invita tutti i prelati italiani. Se taluni fra di loro, godono ancora
di una autorità incontestata (come Ambrogio da Milano), nessuno in Occidente
rimette più in causa l’autorità romana. I successori di Damaso 1°, Sirico (384-
399), Innocenzo 1° (401-417), come anche Sisto 3° (432-440), quindi Leone 1°
(440-461) completano questa impresa. Il Papato si dota di una cancelleria, di
legisti che compilano gli atti ed iniziano ad elaborare quello che costituirà la base
del diritto canonico (atti conciliari, tradizione, lettere, opere dei Padri della
Chiesa ed autorità …) e la più importante biblioteca d’Occidente.
In città, l’iconografia, nelle chiese, riflette questo trionfo ed illustra il Credo. I
credenti possono ammirare il Cristo circondato da Pietro (raffigurato più di tutti
gli altri) e Paolo e spesso da altri apostoli. La chiesa romana risulta in una
posizione di forza, evangelizzatrice, che invia dei missionari in terra pagana, in
Gallia e persino nelle isole britanniche e che lotta contro le nuove eresie: il
pelagianesimo (4), il priscillanesimo (5), il monofisismo (6) o il manicheismo (7).
Mentre l’Africa risulta ripiegata su se stessa, in Oriente si impone
progressivamente, all’ombra degli imperatori, la sede di Costantinopoli, di fronte
alle divisioni regionali.
Lo sforzo di Roma per pesare nella politica occidentale è tanto più rilevante, dal
momento che il contesto, a partire dagli inizi del 5° secolo, è molto difficile. Le
prime ondate di “invasioni” (i Visigoti, alleati massicciamente alle tesi ariane, si
stabiliscono in Aquitania, i Franchi e gli Alamanni pagani si agitano sulle frontiere
nord est ed i Vandali conquistano Cartagine nel 439) determinano lo
spezzettamento dell’Impero. La sicurezza di Roma diventa una sfida
fondamentale, soprattutto dopo il sacco di Roma, perpetrato da Alarico (370-
410) nel 410. Nel 452, papa Leone 1° riesce a negoziare la ritirata di Attila e ad
evitare nuovi saccheggi. Egli però fallirà nella stessa impresa davanti a Genserico
(390-477), che metterà Roma a sacco per due settimane, nel 455. Per diritto
(che si elabora a questa epoca) e di fatto, il vescovo di Roma è diventato il capo
della Chiesa ed anche il suo difensore. Il trionfo dottrinale e politico di Leone 1°
in occasione del Concilio di Calcedonia (451) è stato totale. Durante il suo
svolgimento l’assemblea avrebbe gridato “E’ Pietro che parla per bocca di Leone”.
Nei fatti, il Concilio di Calcedonia, segna in qualche modo la rottura con la Chiesa
d’Oriente, ma soprattutto con il Patriarcato di Costantinopoli, tenuto conto che
con l’espansione dei Mussulmani gli altri Patriarcati d’Oriente (Antiochia,
Gerusalemme ed Alessandria d’Egitto) perderanno rapidamente la loro funzione
politico religiosa.
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 non determina alcuna
modifica per il Papato. Al contrario, i nuovi sovrani germanici vedono
nell’amministrazione romana, episcopale o laica, un formidabile strumento per
consolidare il loro potere nella continuità della storia. Il papa (termine che
comincia a comparire negli atti ufficiali solo a partire dal 6° secolo) deve
occuparsi soprattutto di divergenze dottrinali che l’oppongono al patriarca di
Costantinopoli ed, in tale contesto, papa Felice 3° della gens Anicia (morto
nell’anno 492) ed il patriarca Acacio (morto nell’anno 479) si scomunicano di
nuovo reciprocamente, aprendo uno scisma di 35 anni (484-519). Mentre in
Oriente l’imperatore si immischia apertamente negli affari della Chiesa, il papa
Felice 3°, quindi il papa Gelasio 1° (morto nell’anno 496) si prendono cura di
iniziare una riflessione sulla separazione della chiesa e del potere reale, anche
quando questo è cristiano. Il nipote di Felice 3°, Gregorio 1° (detto Magno, 590-
604) simbolizza questa autonomia guadagnata dal potere papale sui principi laici.
Unico sovrano residente a Roma, dopo che la capitale politica è stata spostata a
Ravenna, il papa ne è il difensore e Gregorio esercita un regno energico,
economico (finanzia la difesa di Roma e l’approvvigionamento di grano) e
diplomatico. In definitiva, per il periodo successivo, il papa rimane a Roma a
lottare contro le invasioni longobarde, le velleità di riconquista bizantina (che
riconquistano l’Italia e Roma dal regno di Giustiniano; 482-565) e le ricorrenti
epidemie di peste.
La fine del 6° secolo segna un momento di transizione per il Papato. Esso, dopo
aver acquisito in Occidente una indipendenza ed un prestigio manifesti, per le sue
lotte contro le eresie e per la stabilità dell’Italia, ora deve far fronte a nuove
sfide. Quello dell’evangelizzazione dell’ovest dell’Europa, che passa attraverso lo
sviluppo del monachesimo e di una nuova riflessione sulla fede, sulla pratica
liturgica ed il ruolo dei preti. Ma anche su quello dell’atteggiamento da assumere
di fronte alle pretese dei re, che vogliono nominare i vescovi nei loro regni ed
affrancarsi dall’autorità di Roma, spesso lontana e non in sintonia con le loro
preoccupazioni culturali. La Chiesa universale, sotto l’autorità del papa, vuole,
invece, imporsi su quella secolare. Tuttavia i secoli seguenti saranno marcati da
numerosi e corti regni e la presenza del potere bizantino in Italia renderà molto
difficile l’esercizio del potere papale romano.
NOTA
(1) Cristiani che hanno pubblicamente rinunciato alla loro religione;
(2) Dottrina predicata dal prete Ario, secondo la quale il Cristo è una creatura
subordinata al Padre. Il Credo del Concilio di Nicea, del 325, condanna tale
dottrina;
(3) Cesaropapismo: sistema politico nel quale l’imperatore pretende di esercitare
un potere assoluto nel dominio spirituale e temporale;
(4) Dottrina propugnata dal monaco inglese Pelagio, che contesta il peccato
originale. Per Pelagio il peccato originale fu dei soli progenitori, non dei
discendenti, ma non macchiò la natura umana, ma che ne subì certamente solo le
conseguenze. Dottrina che insiste anche sul libero arbitrio dell’uomo nella sua
liberazione dal peccato. Condannata dal concilio di Efeso;
(5) Dottrina rigorista di tipo agnostico-manicheo, antitrinitaria, che fa capo al
vescovo spagnolo Priscilliano di Avila. Dottrina che dà spazio al determinismo
astrologico ed all’insegnamento delle donne. che negava la resurrezione della
carne, attribuiva la creazione dei corpi al demonio e predicava la separazione
netta tra bene e male e la necessità di praticare l'ascesi. Condannata dal Concilio
di Toledo del 400 e da quello di Braga del 563;
(6) monofisismo (dal greco monos, «unico», e physis, «natura») è il termine usato
nella teologia cattolica e nella storiografia occidentale per indicare la forma di
cristologia, elaborata nel V secolo dall'archimandrita greco Eutiche, secondo la
quale la natura umana di Gesù era assorbita da quella divina e dunque in lui era
presente solo la natura divina. Dottrina condannata nel Concilio di Calcedonia del
451;
(7) Religione fondata in Persia da Mani nel 3° sec. d.C. Il manicheismo concepiva
tutto l'esistente come espressione di una lotta perenne tra due principi opposti
(dualismo manicheo): il bene, la luce, lo spirito, Dio, in contrasto con il male, le
tenebre, la materia, lo spirito demoniaco, Satana. In sostanza una Dottrina che
ha come principio fondamentale la divisione del mondo in due entità, la Luce (il
Bene) e le Tenebre (il Male) che sussistono nell’uomo in maniera intrinseca.
Giunta nell’impero romano nel 4° secolo, tale dottrina seduce la gente per
determinati suoi riti e simboli, vicini al Cristianesimo.