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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

Una vita di ricerche per conoscere chi sono.

  

PROGETTO GEOPOLITICO del VENTENNIO

PROGETTO GEOPOLITICO del VENTENNIO

Pubblicato su Rivista Informatica "GRAFFITI on line" (www.graffiti-online.

com), del mese di giugno 2020, con il titolo “IL PROGETTO

GEOPOLITICO DEL VENTENNIO”

http://www.graffiti-on-line.com/home/opera.asp?srvCodiceOpera=1936

 

Per poter delineare il progetto geopolitico di Mussolini, occorre

preliminarmente fare riferimento alle complessità del Fascismo, ideologia

rivoluzionaria come essenza, ma sottoposta all’azione di forze diverse e

contraddittorie. Comunque, dietro una apparenza di confusione o di

incoerenza, si nasconde in realtà un progetto ideologico per un nuovo ordine

mondiale.

Occorre riconoscere, preliminarmente, la carenza di chiarezza nella

definizione e nella realizzazione del progetto geopolitico del Fascismo.

Diverse ragioni concorrono a spiegarne il perché. In primo luogo,

l’eterogeneità delle eredità cui esso faceva riferimento: l’Impero Romano, il

Risorgimento, il nazionalismo ed il colonialismo della fine del 19° secolo e

persino alcuni aspetti del socialismo. Tutte le sue fonti (o i suoi riferimenti) si

coagulano intorno al concetto di “nazione proletaria”: l’Italia, nazione povera,

doveva incrociare il ferro con gli Stati ricchi, al fine di rovesciare un ordine

internazionale ingiusto, che confiscava, a vantaggio dei paesi “plutocratici”, le

ricchezze mondiali.

In seguito, il percorso ideologico del socialista Mussolini subisce una naturale

evoluzione, che lo porta ad assumere su di sé le ambizioni nazionaliste. Nel

1919, il vecchio affossatore della spedizione di Libia, scriveva: “Il nostro

O

avvenire è sui mari. Per la sua struttura e la sua posizione geografica, l’Italia

deve rivolgersi verso il mare, essa deve trovare nell’elemento che la circonda le

vie della sua prosperità”. Un anno più tardi, gli obbiettivi diventano più precisi

e più ampi: “Noi crediamo che, senza perdere di vista la questione

dell’Adriatico, la nostra sfera di interesse deve essere estesa, a poco a poco,

al Mediterraneo”. Queste espressioni ci forniscono in maniera evidente il peso

che il fattore geografico e la nozione di territorio esercitavano già nelle sue

analisi. Nel corso del 1934 Mussolini afferma infatti che “La geografia

rappresenta il dato immutabile e fondamentale che condiziona il destino dei

popoli”.

In effetti, nell’analisi fascista, la geografia costringeva la penisola nel bacino

del Mediterraneo, controllato congiuntamente dai Francesi e dai Britannici e la

cui chiave delle due porte (Gibilterra e Suez) si trovavano a Londra. Occorreva

necessariamente spezzare questa gogna, perché la nuova Italia potesse vivere,

potente ed imperiale, padrona del mare nostrum, proprio come ai tempi di

Roma. “Le porte di questa prigione sono la Corsica, la Tunisia, Malta, Cipro; le

sentinelle di queste porte sono Gibilterra e Suez. La Corsica rappresenta

un’arma puntata al cuore dell’Italia; la Tunisia minaccia la Sicilia, mentre Malta

e Cipro costituiscono un’altra minaccia contro tutti i nostri possedimenti nel

Mediterraneo centrale ed orientale.” Queste dichiarazioni, pronunciate a porte

chiuse nel febbraio 1939, saranno quelle che, concettualmente, determineranno

l’entrata in guerra nel giugno del 1940 contro le potenze occidentali.

Un terzo fattore, dopo il mare ed il Mediterraneo, arriva a complicare le carte

in tavola dopo l’entrata in guerra: l’apparente incoerenza della diplomazia

fascista che, di volta in volta, agisce nell’Europa centrale e quindi nel

Mediterraneo, nei Balcani ed infine in Africa ! In questo progressivo

mutamento di direzione, anche l’avversario del momento muta di volto: dalla

Germania d’ante guerra, Roma passa al Regno Unito, quindi alla Francia, mentre

le Forze Armate aspettano a lungo prima di conoscere, fra la Yugoslavia e la

Grecia quale sarebbe stato l’obbiettivo dell’autunno del 1940. Nel suo percorso

evolutivo politico, dalla Marcia su Roma alla guerra, sono numerosi i

cambiamenti di direzione di Mussolini in politica estera. Di fatto, nel 1925, egli

si reca a Locarno in un contesto di sicurezza collettiva con la Germania, ma

successivamente, nel 1935 firma, con il primo ministro francese Pierre Laval

(1883-1945), una serie di accordi dalla evidente tonalità anti germanica, prima

di celebrare con fasto nel 1938-1939 le sue “nozze rosse” con Adolf Hitler

(1889-1945).

Revisionismo e conservatorismo

Ma a guardare con maggiore attenzione nei fatti sopraddetti, vi si può

distinguere, nel pensiero e nell’azione di Mussolini, una innegabile coerenza.

Essa si esprime in un’altra eredità, più immediata,ma altrettanto importante

delle precedenti: la pace incompiuta del 1919 e la “vittoria mutilata”, che

avevano impedito all’Italia di annettere l’insieme dei territori promessi dagli

Alleati del 1915, nel momento della sua discesa in guerra a fianco dell’Intesa.

In effetti, l’Italia non otterrà dalla Conferenza di pace né la Dalmazia e le

previste compensazioni coloniali in Asia minore o in Africa. Questa

insoddisfazione, che ha alimentato il fuoco nazionalista dell’immediato dopo

guerra, fornisce una connotazione revisionista alla politica fascista che non

smetterà di sostenere i vinti (Ungheria e Bulgaria) e di indebolire i vincitori

(Grecia e Yugoslavia) e, se possibile, di distruggere il “mostro” della Yugoslavia,

e di sabotare il sistema di sicurezza francese nei Balcani, costruiti dai

Transalpini, proprio anche in funzione anti italiana. Di fatto, Mussolini non

apparteneva all’Europa di Versailles, costruita a vantaggio della Francia, paese

che per natura e per geografia risulta strutturalmente opposto alle ambizioni

italiane nel Mediterraneo e non solo. Tuttavia, l’annessione del Trentino e di

Trieste, poneva immediatamente l’Italia nel campo degli Stati conservatori

(Francia, Regno Unito e Stati dell’Europa centrale) nel timore di un nuovo

Anschluss o di un nuovo storico Drang nach Osten (spinta ad est). Ma molti

politici avveduti avevano perfettamente percepito la situazione: “Lo Stato

italiano, da quando esiste, si adatta con grande difficoltà ad un sistema di

politica europea, qualunque essa sia”. (Jacques Pierre Bainville, accademico e

storico francese 1879-1936). (1)

Questa ambiguità non cesserà mai di pesar sulla politica di Roma. In effetti,

Mussolini, arrivato al potere nell’ottobre 1922, non si accontenta di

recuperarla: egli vi introduce una dose ideologica che si rivelerà mortale. La

sua ambizione per l’Italia si basava, in effetti, sulla ricerca della potenza,

sull’esaltazione della forza, sul primato della guerra e sul rifiuto degli ideali

della sicurezza collettiva (perché significava accettare lo statu quo), del

multilateralismo e della Società delle Nazioni (SDN, organismo manovrato dalle

Grandi Potenze). Tutto questo sarà dimostrato a partire dal 1923 con

l’incidente di Corfù, provocato dall’assassinio di soldati italiani della Missione

Enrico Tellini (1871-1923) in Albania (2), al quale Roma risponde con

l’occupazione militare dell’isola greca, evidenziando la tendenza all’uso della

forza per la risoluzione dei problemi, ben lontano dallo spirito della SDN di

Ginevra. In effetti, il 29 agosto 1923 l'Italia occupa Corfù, dopo aver bombardato dal

mare, il vecchio forte dell'isola, innescando la crisi. Paolo Thaon di Revel (1888-1973),

ministro della Marina, con buona parte della vecchia guardia della Regia Marina, riteneva

irrinunciabile un rapporto di amicizia, se non di alleanza, tra Italia e Gran Bretagna, pena

la sconfitta in battaglia; nonostante che l'occupazione di Corfù e la guerra con la Grecia

fossero da tempo opzioni ben considerate dalla Regia Marina. Mussolini era invece

disposto a rischiare e a portare avanti una politica revisionista rispetto ai trattati di pace

e alla società delle nazioni. Anzi Mussolini in questa occasione pensò di ritirare l'Italia

dalla società delle nazioni e di forzare la mano per riuscire ad annettere Corfù e le isole

Jonie all'Italia, ma tutti i suoi ministri militari (la cui alleanza gli era allora indispensabile e

che erano molto autorevoli perché avevano guidato il paese alla vittoria nel 1918) lo

sconsigliarono risolutivamente e minacciarono dimissioni in massa, prospettandogli un

conflitto in cui sicuramente sarebbero stati in guerra contro l'impero britannico, la Grecia

e la Jugoslavia, e probabilmente anche contro la Francia (fino a quel momento favorevole

all'Italia, ma pronta a cambiar partito nel caso fosse stata coinvolta la Jugoslavia).

Il 27 settembre Corfù viene infine evacuata dalle truppe italiane, dopo che la

Conferenza degli Ambasciatori aveva riconosciuto come legittime le richieste

dell'Italia alla Grecia. Il Governo greco sarà costretto ad accettare di pagare i 50

milioni richiesti e di tributare gli onori alla bandiera italiana, che la squadra navale

ricevette al Falero, uno dei porti di Atene, per far poi definitivamente ritorno a

Taranto il 30 settembre 1923.

Dopo il periodo di prudenza corrispondente agli anni 1920, succede la

radicalizzazione degli anni 1930. La conquista dell’Etiopia doveva servire nello

spirito imperiale romano alla nascita del nuovo impero italiano e dell’homo

fascista, mentre l’intervento in Spagna assume la caratteristiche di crociata

fascista contro il Komintern. Questo indurimento corrisponde inoltre, sul piano

interno, ad una accresciuta pressione totalitaria sulla popolazione italiana.

Conviene tuttavia ricordare che l’alleanza con il 3° Reich non aveva nulla di

ineluttabile, anche se la dinamica ideologica e totalitaria costituiva una spinta

in tale direzione. Ecco, in effetti arrivare fra Roma e Berlino un ostacolo

imprevisto: l’indipendenza dell’Austria. Ma Mussolini, rimasto politicamente

isolato dopo la proclamazione dell’Impero e convinto della sua logica ideologica,

la sacrificherà a vantaggio di una alleanza esclusiva ed aggressiva (Patto

d’Acciaio, firmato il 22 maggio 1939), ben lontano dai tradizionali “giri di

valzer” della diplomazia italiana ed ai quali il suo genero e ministro degli Affari

Esteri, Galeazzo Ciano (1903-1944) pensava ancora di ricorrere. Questa

politica, che si scontrava contro forti correnti antitedesche ancora presenti

nell’insieme della società italiana, come anche all’interno dello stesso

Fascismo,contribuisce a consolidare i più duri del regime che vedevano nel

Patto lo strumento di una possibile rigenerazione dell’Europa.

La guerra per una nuova Europa

In realtà è esistita, anche in mezzo a questo nazionalismo incandescente, una

visione geopolitica dell’Europa. Da una parte, ambiziosi progetti di una sorte

internazionale del fascismo agitavano molti spiriti, anche se non hanno

prodotto nulla di concreto. Dall’altra, la radicalizzazione della fine degli anni

1930 e la bipolarizzazione dell’Europa hanno accentuato il contrasto fra

un’Italia rigenerata dal Fascismo e gli Stati democratici, presentati come

decadenti, minati dallo spirito dei piaceri,dal giudaismo, dal capitalismo e dalla

denatalità. L’esperienza fascista, autoritaria, nazionalista, corporativista, si

ergeva ad esempio per una rinascita del continente. La Seconda Guerra

Mondiale a fianco del 3° Reich verrà presentata dalla propaganda fascista

come il rovesciamento rivoluzionario dell’ordine liberale di Versailles, che

Mussolini aveva da sempre esecrato; tutto questo a vantaggio di un ordine

geopolitico nuovo, ostile al mondialismo ed al cosmopolitismo anglosassone. La

rivista Geopolitica disegnava i contorni, con grande sostegno di articoli e di

carte, di un dominio imperiale, di cui il Mediterraneo sarebbe stato (il pivot

centralizzatore, secondo la formula di Giorgio Roletto, (3) (1885-1967). Tale

dominio era costruito sulla nozione di spazio vitale mediterraneo unificato da

Roma e su quello di Eurafrica, nel cui contesto la penisola costituiva da ponte

fra i due continenti. Un pensiero che, con grande evidenza, si inseriva in una

geopolitica dei grandi spazi, molto in voga a quell’epoca. Si trattava, in effetti,

di un progetto, allo stesso tempo geopolitico (un Mediterraneo italiano, dal

quale sarebbero stati espulsi i francesi ed i Britannici) ed ideologico (la fine

del dominio degli Stati plutocratici e la rivincita dei popoli poveri). Il Duce ne

riassumerà la sfida nel suo discorso di entrata in guerra del 10 giugno 1940:

“Si tratta della lotta fra due secoli e due idee”.

Ma questa vasta ambizione risultava minata alla base da diverse contraddizioni:

la distruzione degli Imperi coloniali degli Occidentali necessitava di una

alleanza con i movimenti indipendentisti arabi, con i quali Roma aveva

effettivamente annodato profondi legami, ma che cozzavano con le stesse

ambizioni italiane in Africa e nel Levante. Allo stesso modo, se i programmi

geopolitici tedeschi ed italiani non presentavano sovrapposizioni (uno guardava

ad Est e l’altro verso Sud) essi impegnavano i due governi in direzioni

divergenti se non opposte: Mussolini aspirerà ben presto ad una pace separata

con l’URSS per rafforzare la sua lotta contro gli Inglesi nel Mediterraneo, ma

questo era un tasto assolutamente non gradito al Führer e del quale neanche

voleva parlare. Occorre notare, altresì, che una sorda rivalità ha opposto Roma

a Berlino per il controllo dei Balcani, dove gli Italiani hanno lottato con

continuità, con costanza ed accanimento contro i ritardi e le ingerenze del loro

ingombrante alleato. Infine, la guerra del Fascismo illustra in maniera

drammatica la terribile dicotomia esistente fra i progetti ideologici e la realtà.

In tale contesto, l’impreparazione militare - in completa contraddizione con i

progetti politici - condurrà l’Italia nella spirale delle sconfitte umilianti ed in

fine alla sua completa vassallizzazione da parte della Germania.

NOTE

(1) La sua lucida e profetica denuncia del Trattato di Versailles è contenuta nel celebre

libro Les Conséquences Politiques de la Paix, apparso nel 1920 come complemento al libro

di Maynard Keynes (1883-1946), The Economic Consequences of the Peace. Tale giudizio

fu abbracciato, retrospettivamente, anche da Raymond Aron (1905-1983), secondo il

quale Bainville vide giusto quando comprese, con largo anticipo sugli altri osservatori ed in

contrasto con le idee prevalenti all'epoca, che le durissime condizioni economiche imposte

alla Germania dal Trattato avrebbero provocato nei tedeschi il desiderio di vendicarsi,

vista l'impossibilità di liquidare l'enorme debito di guerra deciso dai vincitori in non meno

di 30 anni. Secondo Bainville, i responsabili furono il presidente USA Thomas Woodrow

Wilson (1856-1924) e il primo ministro britannico David Lloyd George (1863-1945), che

col loro moralismo naïf punirono oltremodo i nemici sconfitti, dimenticando gli imperativi

della geo-politica. Ad esempio, a Versailles si decise di smembrare l'ex Impero d'Austria-

Ungheria, cacciando la dinastia degli Asburgo, che avrebbe potuto invece costituire un

argine alle ambizioni continentali della Germania: veniva così balcanizzata l'Europa

centrale, dove all'epoca vivevano importanti minoranze tedesche. La Germania venne

invece conservata unita e centralizzata, creando le premesse per una sua rapida ripresa.

Bainville riassunse la sua opinione sul Trattato con la seguente formula: «una pace troppo

dolce per ciò che essa ha di duro e troppo dura per ciò che essa ha di dolce»;

(2) Mussolini, nel condannare l'eccidio, invia un ultimatum al Governo greco

pretendendo da esso, oltre alle scuse formali, l'istituzione di una commissione

d'inchiesta che individuasse i colpevoli, la pena capitale per questi ultimi, un

risarcimento economico di 50 milioni di lire e che la flotta greca rendesse gli

onori alla bandiera italiana con un'apposita cerimonia. La proposta viene

parzialmente accolta dal Governo greco e Mussolini replica, dopo aver schierato

nel mar Ionio una squadra navale composta dalle corazzate Conte di Cavour, Giulio

Cesare, Andrea Doria e Caio Duilio, occupa il 29 agosto 1923, Corfù, dopo aver

bombardato dal mare, il vecchio forte dell'isola, innescando la crisi.

La reazione di Mussolini, certamente sperequata e forse dettata anche

dall'ambizione di annettere stabilmente Corfù all'Italia, era comunque in linea con

la condotta anti-greca assunta da tempo dalla politica estera italiana, sia per

quanto riguardava l'Albania meridionale, rivendicata dalla Grecia, sia per la

questione del Dodecanneso. L'accordo segreto italo-greco siglato a Parigi il 29

luglio 1919 prevedeva, infatti, la cessione, con l'esclusione di Rodi, del

Dodecanneso alla Grecia, mentre all'Italia sarebbe spettato il mandato

sull'Albania centrale e su una zona meridionale dell’Asia minore.

La crisi di Corfù ha offerto dunque al governo italiano l'occasione di non dare

alcun seguito ai patti convenuti con quello greco riguardo al Dodecanneso, tanto

più che le ambizioni espansionistiche italiane sull'Albania erano fortemente

contrastate in seno alla Società delle Nazioni e quelle sull'Asia minore erano

irrimediabilmente compromesse dall'esito ormai assunto dalla guerra greco-turca,

allora in corso. La prova di forza che vide protagonista l'Italia, servì inoltre a

convincere la Jugoslavia ad aprire quelle trattative diplomatiche che avrebbero

portato, di li a poco, alla stipula del Trattato di Roma col riconoscimento della

sovranità italiana sulla città di Fiume;

(3) Giorgio Roletto è stato, assieme ad Ernesto Massi (1909-1997), negli anni

trenta del secolo scorso, il fondatore - presso l'Ateneo giuliano - della Scuola

italiana di Geopolitica, attorno all'omonima rivista (Geopolitica. Rassegna

mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale), edita tra il 1939

ed il 1942. Attraverso questa rivista sono state diffuse per la prima volta in

Italia le teorie geopolitiche, fortemente osteggiate per la loro carica di novità

dall'ambiente della geografia "ufficiale". Tutto questo, nonostante che la rivista

"Geopolitica" godesse dell'appoggio del gerarca Giuseppe Bottai (1895-1959) ed

avesse riportato nel primo numero un indirizzo di saluto del noto geopolitico

tedesco Karl Haushofer (1869-1946), docente all'Università di Monaco. Nel

dopoguerra la geopolitica italiana entra nell'oblio per motivi ideologici, in quanto

considerata una disciplina di stampo nazista ed imperialista; Giorgio Roletto,

messo da parte si concentrerà, quindi, su studi di geografia economica su paesi e

località dell'Adriatico e del Mediterraneo orientale (la Jugoslavia, Israele, la

funzione economica del porto di Trieste, ecc.), lavori nelle cui pagine, tuttavia,

riecheggiano ancora le antiche idee "geopolitiche".

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