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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Il capo ideale

IL CAPO IDEALE

(Pubblicato su RASSEGNA MILITARE dell’ESERCITO n. 6/2001)

Un paio di mesi fa, un corsivo dell’Alberoni sul Corriere della Sera incentrato sui problemi etici connessi con la convivenza sociale, mi ha indotto ad alcune riflessioni in ordine alla figura ideale di un capo militare ed in particolare ai valori di riferimento che dovrebbero ispirare la missione di un Comandante.

Quanto segue vuole pertanto rappresentare il risultato di tali riflessioni, chiaramente espressione del mio modo di essere e di interpretare la professione, nella speranza che lo scritto possa essere un utile spunto di confronto per ciascuno di noi e soprattutto motivo di ulteriori ineludibili approfondimenti personali.

Da più parti si parla nella nostra organizzazione della necessità di restaurare determinati valori e di fornire alla gente adeguate motivazioni per conseguire una migliore efficienza e credibilità. Certamente tutto questo è indiscutibile e soprattutto necessario ma troppo spesso ci si dimentica che qualsiasi Istituzione non è un organo astratto ma un complesso vivo formato da esseri umani, che per essere un gruppo solidale ha bisogno di una meta e di una dignità, necessita di una coscienza della sua utilità e deve percepire che il suo lavoro è apprezzato e stimato.

Tutte le strutture formate da uomini sono guidate da capi, che purtroppo sono anch’essi esseri umani !!

Il capo dovrebbe rappresentare comunque l’espressione migliore della compagine, l’oggettivazione delle capacità intellettuali e morali del suo substrato. Ma non sempre questo accade, specie se una struttura come quella dell’Esercito, dopo un lungo periodo di pace e di vita di guarnigione, ha inevitabilmente perduto nella massa - oberata e deviata dal tran tran quotidiano e routinario - parte dei suoi valori di riferimento etici e morali. Ciò non perché la gente che lo compone non conosca i valori alla base della sua professione, ma perché la necessità di sopravvivenza nella vita di guarnigione o di “corte” di tutti i giorni porta inevitabilmente e naturalmente ad omologarsi su atteggiamenti conformistici, carrieristici, a volte servili ed ambigui, in contrapposizione alla lealtà, all’onestà, all’esempio, alla generosità, al coraggio, che sono le virtù prìncipi di un soldato.

E’ chiaro che se un capo ha qualità intellettuali e morali elevate, diventa un leader, un elemento trainante del sistema e nella sua azione positiva sceglie e premia come collaboratori elementi positivi dotati delle sue stesse caratteristiche. Ma se il capo è un arrivista, uno speculatore, un egoista ed un corrotto, non potrà certo premiare i migliori elementi del suo sistema, ma avrà bisogno di circondarsi di gente similare quali, complici, delatori, sicari e nel migliore dei casi, servi ed adulatori.

Se il tempo di pace tende inevitabilmente a mettere in secondo piano certe virtù tipiche del soldato, ciò non vuol dire che la società civile e particolarmente quella militare possano permettersi di dimenticare alcuni valori che sono alla base del suo ordinato progresso ed evoluzione, quali le qualità morali. Queste mantengono immutabile nel tempo il loro valore e costituiscono un patrimonio intrinseco per ogni elemento di qualsiasi struttura sociale ed un imprescindibile punto di riferimento specie i capi ed i leader. Insomma i capi, oltre a possedere le necessarie ed indispensabili cognizioni e competenze tecniche, dovrebbero possedere in misura più o meno elevata un certo numero di “virtus”, presupposto indispensabile per creare un ambiente efficiente, solidale, cosciente e produttivo.

Vediamo ora quali di queste un militare, immerso nella routinaria vita di una guarnigione in tempo di pace, non dovrebbe mai dimenticare.

La Sincerità, contrapposta alla falsità, alla doppiezza, all’intrigo, alla calunnia ed all’ipocrisia;

l’Obiettività, intesa come capacità di valutare serenamente i fatti o le persone senza farsi influenzare dai pregiudizi e dalle maldicenze;

la Forza d’animo che viene dalla convinzione e fiducia nei giusti principi, che ispira fiducia e dà serenità nei momenti difficili;

l’Umiltà, cioè la capacità di ascoltare le opinioni degli altri, specie se diverse dalle proprie e di ammettere i propri errori;

il Coraggio, per decidere ed assumersi le responsabilità che competono ed esprimere coerentemente le proprie opinioni;

la Generosità, che è la capacità di dare qualcosa per gli altri, di riconoscere il merito degli altri, dando così l’esempio agli altri;

la Lealtà, che è il segno distintivo di chi ha la piena coscienza del proprio ruolo e delle proprie responsabilità, di chi comprende l'importanza degli impegni presi ed il valore della parola data e della dignità;

la Giustizia, che è la rara capacità di scegliere i capaci, gli onesti, i sinceri e scacciare i disonesti, i falsi, i calunniatori e chi prevarica e perseguita i più deboli.

Vediamo ora come un capo militare, supposto mediamente dotato di tutte le necessarie virtus, potrebbe interagire con la sua struttura e quindi con i suoi collaboratori/dipendenti.

La cosa più immediata da fare è quella di esaminare attentamente, in relazione ai compiti ed agli obiettivi da perseguire, la qualità del materiale umano posto a disposizione e sulla base delle deduzioni operate, adottare i provvedimenti che ne conseguono. In sostanza il comandante militare deve saper scegliere con rigore i propri collaboratori, deve potersi circondare di persone integre, fedeli, motivate e quindi mediamente dotate di analoghe virtus e scartare senza appello tutti coloro dei quali non ci si può fidare. Ma il capo militare può operare normalmente secondo un tale scenario? La risposta nella maggioranza dei casi appare sicuramente negativa. Di fatto se si deve costituire una “task force” per una determinata missione temporanea, forse è possibile mettere a disposizione del capo designato il meglio, traendolo dalle varie disponibilità, ma, nel caso normale di una assegnazione in comando di una unità, il capo militare verrà a trovarsi in una situazione completamente diversa da quella che teoricamente sarebbe auspicabile. In questo caso specifico il materiale umano è quello di cui si dispone ed il capo deve lavorare al meglio con quel che trova !!

In questo caso il comandante, fatti i possibili aggiustamenti organizzativi che derivano dalla sua analisi preliminare della situazione, deve poter procedere contando essenzialmente, sul proprio ottimismo, sul proprio entusiasmo, sulla propria buona fede, sulla capacità di convincere e motivare i propri dipendenti, sulla propria “tolleranza” a fronte di possibili ed inevitabili “doppiogiochisti” e coinvolgere nei propri progetti tutti quelli che vi vogliono partecipare, a prescindere dalle variegate motivazioni personali di ognuno.

Ciò significa che la “squadra” a disposizione del capo militare potrà essere a volte molto infida; vi potranno inevitabilmente trovare posto gli opportunisti, gli adulatori ed anche i traditori, che, di norma oltre a fare i delatori, spesso trovano diletto anche in esercitazioni letterarie di “prosa anonima”.

Ma questa situazione, come tutta la vita, è il vero banco di prova per il capo che, convinto di operare non per fini personali ma per la realizzazione di un progetto della sua Istituzione, tutte le volte che ottiene qualcosa di più o solamente più partecipazione dalla sua, non di rado, “eterogenea Armata”, ha motivo di inorgoglirsi, proprio perché ha veramente fatto il proprio dovere.

Un vero capo militare, in siffatta situazione, non può dunque disconoscere che in ogni essere umano c’è comunque qualcosa di buono, che in ogni dipendente deve poter sollecitare la parte migliore e, sforzandosi quindi di essere tollerante, deve abituarsi a considerare il tradimento ed il male ricevuto come il prezzo inevitabile della propria professione, nel quadro della più ampia convivenza umana. 

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