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IACOPI DISCENDENZE E STORIA

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Maggio 1453, Costantinopoli cade sotto sotto la spinta degli Ottomani di Maometto 2°

MAGGIO 1453, COSTANTINOPOLI CADE SOTTO LA SPINTA DEGLI OTTOMANI DI MAOMETTO 2°

(Stampato sul “SUBASIO” n. 2/12 del giugno 2004, Bollettino trimestrale dell’Accademia Properziana del Subasio di Assisi col titolo “L’Ultimo bastione dell’Impero Bizantino”)

550 anni fa Costantinopoli, ultimo bastione dell’impero bizantino ed erede di Roma, soccombe sotto l’ultimo assalto degli Ottomani, la potenza in espansione della regione. Ricordo di un evento che ha marcato la storia.

Nel 1453, il Sultano ottomano Mehemet o Maometto 2° (1432 – 1481) decide di chiudere il conto con le ultime vestigia di Bisanzio. Costantinopoli, ultimo resto dell’Impero Romano d’Oriente, ha da sempre fatto vellicare sogni di gloria ad intere generazioni di Ghazi (vittoriosi, conquistatori) o di Mujahidin, gli equivalenti dei crociati nell’Islam.

Al di là della Guerra Santa, al di là del sogno di gloria, Costantinopoli infastidisce notevolmente il Sultano, perché la sua presenza complica notevolmente le sue comunicazioni con la parte europea dell’Impero, la Rumelia, conquistata nel 14° secolo. Il Sultano ha perfettamente captato la straordinaria dimensione strategica della regione ed in più Bisanzio, posta alla giunzione di due mari (Mediterraneo e Mar Nero) e di due terre (la Rumelia e l’Anatolia), poteva divenire una capitale ideale per il suo impero.

Altri prima di lui avevano tentato questa prestigiosa conquista: già dal 7° secolo delle flotte arabe si erano avventurate nel Bosforo ma avevano dovuto rinunciare ai loro propositi davanti alle difese della città ed al “fuoco greco”. Gli stessi Ottomani avevano tentato varie volte il colpo senza successo. Il Sultano Beyazid Yildirim (1389 - 1402), che nel 1394 assedia Costantinopoli per impedire le interferenze bizantine negli affari ottomani e per migliorare le comunicazioni fra le sue terre, deve ritirarsi davanti alla impossibilità di poter abbattere le spesse muraglie della difesa. Passata la tempesta di Tamerlano, il Sultano Murad 2° (1421 – 1451) si rivolge nuovamente contro la città spinto anche da motivi di rappresaglia contro le inopportune interferenze bizantine al momento delle lotte intestine di successione al sultanato. La mancanza di una artiglieria sufficientemente efficace lo induce ad abbandonare l’assedio dopo circa tre mesi, convinto anche da un notevole somma di denaro offerta dal Basileus.

Nel 1453 il figlio di Murad, Maometto 2°, appunto, raduna la sua armata per tentare il colpo finale. Ogni dettaglio è stato studiato con la massima cura. La costruzione di una fortezza moderna nel’aprile 1452 sulla parte europea del Bosforo, la Bogazkesen (Rumeli Hisar), impedisce, con il fuoco dei suoi cannoni ed in sistema con la Anadolu Hisar sull’altra sponda del canale, ogni accesso dal Bosforo, mentre il porto di Gallipoli blocca da Sud i Dardanelli e l’accesso al mar di Marmara, determinando in tal modo il completo isolamento marittimo di Costantinopoli.

La preparazione dell’assedio

Maometto 2°, sulla scorta delle esperienze dei suoi avi, fa fondere ad Adrianopoli o Edirne un cannone gigante, sotto la supervisione di un ingegnere europeo chiamato Urban. Questo cannone è capace di tirare della palle di 400 chili a più di un chilometro di distanza! Ma queste caratteristiche condizionano ampiamente il suo trasporto. Occorreranno ben due mesi, 60 buoi e 200 uomini per trasportare il pezzo, preceduto da un corpo speciale di oltre 200 genieri e pontieri, con il compito di preparare e riparare strade e ponti per il passaggio dell’artiglieria fino alle mura della città.

Urban realizza successivamente, su commessa del Sultano, due altri cannoni, uno che lanciava proiettili di 260 chili e l’altro dalle prestazioni leggermente inferiori ed una serie di bocche da fuoco medie e piccole per le necessità della campagna. Le cronache sono discordi quanto al numero esatto di cannoni schierati davanti a Costantinopoli: cinquanta cannoni grossi e medi secondo Samile; 1000 in tutto, compresi gli archibugi, secondo Isidoro da Kiev.

All’inizio del 1453 il Sultano ha praticamente completato la radunata delle sue forze, I Serbi, cristiano ortodossi, sono giunti all’inizio del 1453 con 1500 cavalieri ed un corpo minore arriverà da Novo Brdo, nel Kossovo, più tardi. Una buon parte delle truppe ottomane è costituita da Timarioti, i Sipahis, nobili, anche cristiani, titolari di Timar (distretto), vassalli del Sultano, obbligati, come corvée feudale, al servizio militare. Questi hanno al seguito degli ausiliari detti voynik (originari dei Balcani), reclutati ad es. nella Valacchia.

Questo esercito è dunque costituito per la maggior parte da truppe dei feudatari, i Sipahis, e per il resto dall’esercito permanente del Sultano, i Giannizzeri, con la cavalleria (Spahis) degli Schiavi della Porta, Kapikulu, quest’ultimi tutti convertiti all’Islam. E’ un organismo estremamente disciplinato, se confrontato alle abitudini del tempo. I volontari mussulmani (Moslem) sono motivati, sia per motivi religiosi, sia dalla speranza di bottino, motivo primario invece per la massa degli irregolari (Bachibuzuk o Bascibazuk)) cristiani.

In totale l’esercito ottomano conta almeno un centinaio di migliaia di uomini, anche se il parere degli scrittori dell’epoca sia alquanto discorde sull’argomento ed a volte volutamente molto esagerato : 265 mila il Ducas; 400 mila il Chalcokandyles; mentre il Barbaro stima i Turchi intorno ai 160 mila. Il Babinger  propone per i Turchi la cifra di 80 mila, dei quali 12 mila solo i Giannizzeri. Non si conoscono da vicino i compiti di ognuno dei componenti di questa Babele umana che era l’armata ottomana ma nel numero complessivo non ci è dato distinguere esattamente i combattenti dai semplici servitori.

L’assedio. Gli schieramenti, rilevanza dell’artiglieria ed importanza della flotta

Il Sultano fa issare la sua tenda per l’assedio davanti alla Porta S. Romano (Mesoteichion), quasi al centro del percorso della cinta muraria difensiva eretta da Teodosio e dispone i suoi super cannoni nelle vicinanze. E’ proprio in ricordo del cannone che la Porta di S. Romano è stata ribattezzata Topkapi, che vuol dire, appunto, la Porta del Cannone. A fronte di questa terribile potenza, rinforzata da una flotta non meno impressionante (dalle 150 alle 170 unità), che blocca gli stretti e qualsiasi ipotesi di rinforzo, solo 4774 bizantini si oppongono agli attaccanti, ai quali vanno aggiunti diverse centinaia di Greci e di Italiani per un totale complessivo di 7 - 8 mila uomini contro una media di 100 mila ottomani. Il cronista Saadedin parla per l’occasione degli Ottomani come di “guerrieri numerosi come le stelle”.

Terminata il 26 marzo 1453 la radunata dell’Armata ottomana ad Edirne, le truppe ottomane si presentano sotto le mura di Costantinopoli il 5 aprile seguente. Leggiamo dalle cronache che l’Imperatore “… ordinò di distruggere i ponti sui fossati e di chiudere le porte della città. Quello stesso giorno, inoltre dette disposizioni di gettare all’entrata del porto del Corno d’Oro una barriera consistente in una catena fissata, da una parte alla Torre di Eugenio, sotto l’Acropoli e dall’altra ad una torre delle mura di Pera verso il mare e sostenuta da galleggianti di legno ….”

La fronte dei difensori nel settore a terra (circa 22 chilometri di mura) vede schierati al centro l’Imperatore Costantino con le forze greche a cavallo di Porta S. Romano nel tratto dove le mura attraversano la valle del Lycus; a destra dell’imperatore nel tratto della Porta Charisios o d’Adrianopoli fino al Myriandrion si trova il famoso capitano di ventura Giovanni Giustiniani Longo con circa 1000 genovesi. All’estrema destra, dal Myriandon al Palazzo delle Blacherne fino al fossato sul Corno d’Oro, sono invece schierate le forze dei fratelli Bocchiardo, quelle veneziane del bailo Minotto e quelle dell’Arcivescovo Leonardo, quest’ultimo schierato all’inizio del fossato sul Corno d’Oro. Alla sinistra dell’imperatore verso sud si trovano le truppe genovesi del Cattaneo; a difesa della Porta Pegana si incontrano quindi le truppe greche di Teofilo Paleologo. Dalla Porta Pegana alla Porta Aurea il settore di difesa è affidato al veneziano Filippo Contarini e dalla Porta Aurea al Mar di Marmara si trovano forze genovesi al comando di un certo Manuele e quindi all’inizio del fronte a mare ci sono le forze greche di Demetrio Cantacuzeno. Una flotta di 26 navi e la catena sul Corno d’oro completavano e collegavano la difesa con quella della città di Pera. Il sistema difensivo era adeguatamente dotato di giavellotti, frecce, qualche colubrina e mangani per lanciare pietre; cerano anche parecchi cannoni in città, che però si rivelarono poco utili per la scarsità di salnitro ed anche per il fatto che quando questi sparavano dalle mura sull’assediante, lo spostamento d’aria finiva per danneggiare le fortificazioni. I singoli soldati erano provvisti di armatura ed erano decisamente più protetti della maggioranza delle truppe turche.

Lo schieramento terrestre turco, al riparo di una trincea scavata e rinforzata da un bastione in terra coronato da una bassa palizzata, prevede lungo la Valle del Lycus, davanti al Mesoteichion, il Sultano con i suoi Giannizzeri, alla sua sinistra verso nord, nel settore da Porta Charisios al Miriandrion alle Blacherne, i Bashi Bazuk di Qaragià Pasha, le forze formate le truppe delle divisione regolari europee. Alla destra del Sultano si schierano le forze regolari anatoliche al comando di Ishaq Pasha, coadiuvato dal rinnegato greco Mahmud Pasha. A nord sul fronte di Pera, la città dei genovesi, sono schierate le forze al comando del Vizir Zaghanos Pasha. La flotta agli ordini di Balta Oghlu aveva invece il compito completare e di rendere “stagno” l’accerchiamento dalla parte del mare e di cannoneggiare la città dal Mar di Marmara.

Il bombardamento delle mura, iniziato dalla sera del 6 aprile, il 12 dello stesso mese e nel giro di appena una settimana provoca la distruzione di molte torri e l’apertura di diverse brecce. Ma i Greci si aggrappano con forza al terreno e riempiendo i vuoti e rinforzando le muraglie cadute con palizzate di tronchi, riescono a respingere tutti gli assalti. Maometto, che fino a quel momento aveva concentrato i suoi sforzi prevalentemente sul settore terrestre, decide di dividere l’avversario, portando degli attacchi anche dalla parte del mare, in modo da mettere a mal partito anche la flotta del Basileus. Delle batterie di cannoni di grande portata vengono schierate a nord della zona di Galata, dall’altra parte del Corno d’Oro (Haliç). Non potendo manovrare a piacere con la flotta, a causa di una catena fortemente tesa all’entrata del Corno d’Oro, Maometto, grazie ai servigi di un italiano, fa costruire una lunga rampa di tronchi coperti di grasso, lardo e di olio, all’esterno del sobborgo di Pera e per mezzo di questa rampa trasporta un certo numero di suoi vascelli dal Bosforo al Corno d’Oro, aggirando la catena e ripetendo, con questa azione, l’impresa che il Principe Igor di Kiev aveva escogitato nel suo fallito attacco a Costantinopoli intorno al 1000.

Il 3 maggio 1453 viene lanciato con successo un ponte di barili a nord del Corno d’Oro non lontano dall’area delle Blacherne. L’accerchiamento diviene ormai totale e risultano inoltre facilitati i collegamenti fra i differenti elementi dell’esercito ottomano. Nonostante ciò la guarnigione bizantina continua a combattere con grande ardore, sostenuta in questo anche dalla speranza di un prossimo arrivo di rinforzi dall’occidente. I Greci tenteranno di incendiare più volte la passerella con il “fuoco greco” ma senza risultati apprezzabili. Fra il 12 ed il 17 maggio l’artiglieria ottomana crea delle brecce importanti nel settore Nord delle Blacherne, attraverso le quali i Turchi si gettano immediatamente all’assalto, venendone sanguinosamente respinti. Il 7 maggio non ha maggior successo neanche un improvviso attacco notturno. L’11 ed il 12 maggio, approfittando di una breccia nel settore delle Blacherne, gli Ottomani riescono a forzare il perimetro difensivo ma anche in questo caso i difensori con eroico accanimento riescono a ricacciarli fuori dalle mura.. A questo punto viene deciso di effettuare lo sforzo principale con tutte le artiglierie nel settore della Porta di S. Romano che sembra essere il più fragile. Ma il Vizir Zaghanos Pasha, utilizzando dei minatori Serbi fa scavare delle gallerie per far saltare le mura nell’area di Porta Charisios (o Porta di Adrianopoli), fra il palazzo delle Blacherne e Porta S. Romano. La galleria sotterranea viene intercettata dai Bizantini e ne scaturisce una combattimento sotterraneo sanguinoso in cui i difensori hanno la meglio, tanto che i Turchi decidono il 25 maggio di abbandonare l’impresa. Il giorno seguente il Sultano convoca un consiglio di guerra nel quale viene deciso di dare due giorni di riposo alle truppe e di lanciare l’attacco decisivo per il giorno 29.

Poco prima dell’alba del 29 maggio 1453 le artiglierie del Sultano iniziano una azione di fuoco di preparazione dell’attacco, coprendo allo stesso tempo l’azione degli zappatori che procedono al riempimento dei fossati. Attacchi diversivi di fissaggio vengono contemporaneamente lanciati in differenti settori, mentre lo sforzo principale viene condotto ancora contro la Porta S. Romano. Il primo attacco, condotto dagli irregolari balcanici non ha successo. Un secondo, condotto dalle truppe provinciali ed appoggiato dall’artiglieria, non ha migliore fortuna e viene interrotto dal suono della ritirata. Un terzo attacco viene infine condotto dal corpo scelto dei Giannizzeri. Questi riescono finalmente a scuotere la difesa. Inoltre la morte di uno dei comandanti italiani e la scoperta di un passaggio, non perfettamente chiuso e non adeguatamente vigilato, contribuiscono in favore dell’azione ottomana. Il panico si diffonde fra i Bizantini che si precipitano al riparo della seconda cinta di mura, quella di Costantino, incalzati dai Turchi. La confusione giunge al suo culmine, la difesa perde la sua coesione e si sfalda e gli Ottomani entrano in città, anche se vengono ancora condotti dei combattimenti sporadici nelle vie e nelle case dell’antica metropoli. Ha inizio una serie di massacri e di vandalismi che per fortuna verranno fermati, anche non subito dal Sultano (donne dell’aristocrazia bizantina messe a disposizione di postriboli della bassa forza; giovani brutalizzati e sodomizzati, distruzioni profane di tesori, razzie di qualsiasi bene asportabile, ecc., come riportato in una lettera di Isidoro di Kiev). Un vero disastro che il Barbaro ricorderà nel suo diario con queste parole “.. Nel pomeriggio del 29 maggio 1453 il sangue ha fluito come acqua dopo una tempesta inattesa sulle vie di Costantinopoli ed i corpi hanno fluito verso il mare come i meloni in un canale….”

Il Sultano fa il suo ingresso in città verso il mezzogiorno e si reca a cavallo a Santa Sofia (Aya Sofia), edificio che farà in seguito trasformare in moschea, come un simbolo della sua vittoria. Da quel momento Maometto 2° acquisirà il nome di Fatih, il Conquistatore.

L’artiglieria ottomana in un mese e mezzo era stata il mezzo fondamentale per piegare la resistenza bizantina. Anche i Greci possedevano delle artiglierie ma qualitativamente inferiori tanto che sovente nel corso dei combattimenti molti dei loro cannoni sono esplosi. Per di più come abbiamo ricordato il loro impiego è stato volontariamente limitato, perché l’onda d’urto ed il rinculo dei pezzi utilizzati sulle muraglie provocava notevoli danni alla struttura muraria.

Un vincitore generoso

Maometto 2°, come preventivato, fa della suo nuova conquista la capitale del suo impero ed in questo quadro impedisce devastazioni nella città ed il degrado delle chiese, dando severe disposizioni per la salvaguardia dei magnifici mosaici bizantini. La popolazione viene in larga misura risparmiata. Solamente l’alta aristocrazia dirigente patisce qualcosa per la sua sconfitta, in quanto il Sultano stabilisce di far eseguire delle condanne capitali fra quelli che l’avevano combattuto. Ciò nonostante egli favorisce l’entrata di altri Bizantini, specie quelli più giovani, nell’amministrazione ottomana, in particolare nella Scuola dei Paggi. Maometto interviene direttamente perché i saccheggi cessino immediatamente e si prodiga per ridare all’antica città un lustro degno di una capitale.

Si può certamente affermare che gli Ottomani, regnanti su un impero multiconfessionale e cosmopolita, seppero ricreare una vasta realtà territoriale che fu nel campo politico il degno continuatore della politica di Bisanzio, malgrado la sua prevalente cultura mussulmana. In effetti, non solo diversi aristocratici bizantini prestarono fedeltà al Sultano, ma soprattutto i Greci, in conformità del dettato del Corano (il Dhimmi), non furono mai costretti alla conversione, tanto che l’ortodossia cattolica, anche se in evidenti condizioni di inferiorità e  fortemente condizionata, ha potuto comunque continuare a fiorire nel tempo anche nel seno dell’Impero Ottomano.

BIBLIOGRAFIA

Babinger Franz: Maometto il conquistatore ed il suo tempo,  Princeton Un. Press           1992

Clot André    : Maometto 2° il Conquistatore di Bisanzio,        Perrin, Parigi,  1990

Norwich John Julius : Storia di Bisanzio,                                Perrin, Parigi,  1999

Wiet Gaston:              Grandezza dell’Islam,                         La Table Ronde, 1961

Kitsikis Dimitri :          L’Impero Ottomano,                             PUF,    Parigi,  1985

Mantran Robert:         Storia della Turchia,                             PUF,    Parigi,  1952

Roux Jean Paul:           Storia dei Turchi                                Fayard, Parigi.  1999

Runciman S :                La caduta di Costantinopoli                Piemme, Torino 2001

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